"Soldi in cambio di leggi". Fini ora teme le manette

L'ex vicepremier e i decreti sui giochi nel mirino Il gip: favori a Corallo e grandi flussi di denaro

"Soldi in cambio di leggi". Fini ora teme le manette

Il timore di Gianfranco Fini, mentre i fantasmi della casa di Montecarlo tornano nottetempo a bussare alla sua finestra, è che qualcuno, soprattutto in procura, possa non ritenerlo un «coglione». La colorita autodefinizione più va avanti la storia, più sembra strategicamente sensata. Sacrifica l'immagine di colui che fu la terza carica dello Stato. Ferisce il suo amor proprio. Ma ne salvaguarda la fedina penale, raccontando di un big della politica che non si accorgeva degli affari strani di parenti e congiunti. Ma non è detto che basti.

L'ordinanza con cui la procura ha sequestrato preventivamente una manciata di milioni di euro in cash e case ai Tullianos, infatti, si sofferma intorno al ruolo dell'ex presidente della Camera. Fini per gli inquirenti è il trait d'union tra il capo del colosso del gioco Atlantis, Francesco Corallo, e la sua nuova famiglia, quella portatagli in dote da Elisabetta Tulliani. È lui, Fini, che per primo lega con quell'imprenditore considerato da sempre vicino ad An, durante un viaggio a Saint Marteen, quartier generale caraibico di Corallo, nel 2004. È lui, stando all'interrogatorio di Amedeo Laboccetta, che dopo quel viaggio, nel 2005 aiuta Atlantis a dirimere controversie con i monopoli. E sempre Fini - siamo nel 2007 - avrebbe cercato di spingere il «cognato» Giancarlo, provando a fargli fare da intermediario per un affare immobiliare con Corallo, affare così discutibile che lo stesso Laboccetta boicotta il progetto. E una volta di più è lui che a dicembre 2008, in occasione del primo compleanno di Carolina, figlia sua e di Elisabetta, invita Corallo nella foresteria di Montecitorio. Sono passati pochi mesi dalla celebre cessione della casa di Montecarlo da An alla Printemps ltd, la società offshore dietro alla quale si celava Tulliani, perfezionata per una cifra buona solo per l'acquirente, tanto che gli inquirenti hanno accertato che a pagare non furono i Tullianos ma proprio Corallo, che aveva già provveduto a mettere a disposizione del delfino della family e di Lady Fini i suoi consulenti della Corpag - Walfenzao&co - per costruire la rete di off-shore e preparare il colpaccio immobiliare nel Principato.

Fini, dunque, per la procura è l'anello di congiunzione tra Corallo e i suoi parenti acquisiti. Ma gli inquirenti ritengono che il suo ruolo non si limiti a questo. Il rilievo delle sue cariche istituzionali - prima vicepremier, poi presidente della Camera - fa di lui il vero «obiettivo» delle attenzioni rivolte ai Tullianos da Corallo, e il gip lo lascia desumere in maniera esplicita: «Che l'obbiettivo di Corallo fosse altro dai Tulliani - scrive - si desume per tabulas: Corallo è il titolare di un'impresa colossale, i Tulliani una famiglia della piccolissima borghesia romana». Fini invece, «all'epoca», era una «figura istituzionale di elevato rilievo», e dunque gli intrecci tra questi tre poli innescano interessi di «estrema delicatezza», anche perché le tracce di dazioni di denaro, osserva il gip, vengono lasciate «in occasione dell'adozione di provvedimenti di legge di estremo favore per Corallo». Non un solo decreto ma almeno due, il 39/2009 e il 78/2009. La storia mette in fila anomalie di ogni genere, dalle «gravissime interferenze» sui Monopoli alle «inverosimili sottrazioni» alle casse dello Stato, fino alle norme pro-Atlantis approvate, «sintomatiche di condizionamento della vita parlamentare in ragione di flussi di denaro di grande consistenza».

Una storia dalle «implicazioni inquietanti», e che al giudice sembra sia stata svelata solo in minima parte, potendo riservare «imprevisti» e sviluppi «piuttosto tumultuosi». Quanto basta per togliere la decantata «serenità» all'ex leader, già scottato nell'amor proprio, ora anche indagato. E sempre più nel fuoco della procura.

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