Sisma Centro Italia

La solidarietà non aiuti solo il Pd

Meglio chiarirlo subito: l'unità di spirito e d'intenti da preservare riguarda l'Italia nel suo insieme, non solo i democratici

La solidarietà non aiuti solo il Pd

Perché nominare un commissario alla ricostruzione, dopo il terremoto? E perché assegnare questo compito a Vasco Errani? Cominciamo dalla seconda questione, più semplice: si tratta di un amministratore pubblico con vasta esperienza e può certamente fare bene, ma meglio non dimenticare che l'unità di spirito e d'intenti da preservare riguarda l'Italia nel suo insieme, non solo il Partito democratico. Se si tratta si assegnare un ruolo di coordinamento, la scelta poteva essere fatta nell'ampia schiera di prefetti e funzionari che incarnano lo Stato apparato. Se, invece, si tratta di svolgere un ruolo politico, talché si sceglie un uomo politico, allora sarebbe bello sapere quale.

Il che riporta al primo quesito: il terremoto è un disastro naturale imprevedibile, mentre l'intervento pubblico e i lavori di ricostruzione rientrano fra le cose previste e regolate. Se, come primo provvedimento, si nomina un commissario è segno che si sa già, ancora prima di partire, che si potranno ottenere risultati positivi, e in tempi accettabili, solo a condizione di non rispettare le regole fissate. In questo caso si cambiano le regole, non si nominano i commissari. Da più parti si è fatto riferimento alla «positiva» esperienza dell'Expo, ma quella è un'esperienza negativa. Non per i risultati operativi (quelli finanziari ancora aspettano una rendicontazione definitiva), ma proprio perché li si è potuti agguantare dopo essere passati da diverse e successive amministrazioni commissariali. Un fallimento del diritto e della trasparenza, non un loro trionfo.

Discorso analogo per quel che riguarda il controllo preventivo di regolarità, in modo che alle macerie materiali non si sommino quelle morali: non si può invocarlo per una cosa e ignorarlo per un'altra. I lavori pubblici sono sempre soldi dei cittadini, che li si spenda in emergenza o in normalità comunque dovrebbero essere ben allocati e non produrre malaffare. Se le regole non garantiscono il risultato si cambiano le regole, non è che si chiama l'Autorità anti corruzione a intermittenza (a proposito: prima la si chiamò per arbitrare i rimborsi ai clienti delle banche fallite, poi la si è licenziata prima ancora di metterla al lavoro, il che dovrebbe chiarire i guasti prodotti dalle cose improvvisate).

Certe cose meglio chiarirle subito, senza aspettare che il bubbone si gonfi e il suo infettarsi faccia finire il corpo che lo genera sul tavolaccio autoptico della giustizia penale. Così come è bene mettere le mani avanti e avvertire che, dopo un disastro, non s'invoca l'elasticità per i conti pubblici, ma si chiede l'applicazione dei trattati europei, che ampiamente prevedono l'ovvio: alle disgrazie si fa fronte. Il fatto è che un Paese dovrebbe rendicontare i soldi spesi per soccorrere fuori da quelli messi in colonna per il Patto di stabilità, ma questo nel caso lo stesse rispettando. L'Italia lo viola da tempo, con una sciatta furberia che danneggia solo noi e con la viltà di far credere che se i soldi non ci sono è perché l'Europa li nega. Falso, perché da troppi anni spendiamo quelli che non abbiamo, accrescendo un debito patologico e venefico.

È chiaro che ora dobbiamo spendere per ricostruire, ma questo non significa che si possano reclamare margini per allargare la Repubblica dei bonus.

Anzi, proprio nel momento del bisogno si dimostra quanto con i bonus si allarghi il malus che ci affligge.

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