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Il sollievo del capo dello Stato: decisiva la sua mediazione sul Def

E il presidente bacchetta i gialloverdi sul rispetto del pluralismo: garantire «libertà di espressione e crescita»

Il sollievo del capo dello Stato: decisiva la sua  mediazione sul Def

Roma Alle cinque della sera Sergio Mattarella può augurare buon Natale alle alte cariche della Repubblica e decretare il cessato allarme: grazie alla sua mediazione, l'Italia l'ha sfangata ancora. «Ho valutato molto positivamente la scelta del governo di avviare un dialogo costruttivo con la Commissione sulla manovra». Se l'Unione «ha agito con spirito collaborativo», se si è «giunti a soluzioni condivise», se si è evitata la procedura d'infrazione, è perché lui ha vinto la partita e costretto la maggioranza a cambiare la Finanziaria. Ma ora, dice rivolto ai gialloverdi, siccome non è vero che rappresentate sessanta milioni di persone, cominciate a «rispettare il pluralismo» e l'altra Italia.

Una schiarita con Bruxelles, però la Ue non si fida e ci tiene ancora sotto osservazione. Basta scontri. «L'Europa - spiega il presidente - non è un vincolo esterno ma piuttosto un moltiplicatore nella nostra influenza internazionale». Certo, governare non è facile e chi ora è a Palazzo Chigi se ne sta accorgendo. «Va evitato un cortocircuito tra l'urgenza di fornire risposte veloci, sollecitate dal disorientamento e dall'emotività, e la necessità di tempi più lunghi necessari a soluzioni, efficaci, durature e sostenibili». Servirebbero investimenti nelle infrastrutture, interventi capaci di stimolare la crescita e creare lavoro, dice in sostanza il capo dello Stato, non mancette clientelari.

E basta sconfinamenti. Mattarella chiede che tutti svolgano il mandato «secondo quel che richiede la Costituzione a chi svolge pubbliche funzioni, accompagnando l'adempimento dei propri compiti con il rispetto dei limiti del potere che la nostra Carta indica a chi è chiamato a esercitarlo». Salvini (grande assente al Quirinale) e Di Maio facciano i ministri, non i tuttologi. La maggioranza smetta di occupare tutti i posti disponibili. Quanto al governo, «promuova con efficacia il bene comune e gli interessi generali».

Il futuro è fosco. Il presidente è preoccupato per una «Italia delusa e incattivita», preda «del pregiudizio e dell'intolleranza», dove si litiga sempre e su tutto e non si è capaci di fare sistema. «Ricercare coesione nel tessuto sociale costituisce una necessità, oltre che un dovere, per le istituzioni. Il contrasto degli interessi la competizione delle idee non devono spingersi fino a generare ostilità e delegittimazione. La democrazia non teme le diversità, al contrario ne ha bisogno».

E il discorso di bilancio di fine d'anno diventa una lezione di diritto costituzionale. La prima parola chiave è «rispetto». Ad esempio, quello dovuto al Parlamento «interprete della sovranità popolare a cui è affidato un ruolo centrale nella nostra democrazia» e che invece non può ancora discutere della manovra. O anche quello, un po' scarso ultimamente, nei confronti di altri organi istituzionali non eletti ma «con diverse fonti di legittimazione», come magistratura, enti di garanzia, commissioni di garanzia, attaccati spesso dal governo ma di cui va garantita «l'indipendenza». La seconda parola è pluralismo. Riguarda la stampa, che la maggioranza da tempo ha messo sotto pressione. Ma anche la scienza, le associazioni, le imprese private.

L'altra Italia a cui il governo deve garantire «libertà di espressione e crescita».

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