La verità egiziana non la beve più nessuno. D'altronde, la miriade di versioni che hanno fornito al nostro pool investigativo faceva acqua da tutte le parti, ultima quella della banda criminale che avrebbe rapito e ucciso Giulio Regeni. Un scappatoia che è sembrata addirittura offensiva per il lavoro e l'intelligenza dei nostri inquirenti, anche perché i presunti responsabili sono stati tutti uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia egiziana e nessuno potrà mai interrogarli e verificare in alcun modo questa versione. Ma se pure la favola della gang avesse qualche presupposto per restare in piedi, rimane sempre da chiedersi perché avrebbe dovuto torturarlo prima di ucciderlo e perché non si sarebbe mai fatta viva per chiedere un riscatto. Insomma, ai banditi interessano i soldi e nient'altro. Comprendiamo i problemi di politica interna egiziani e le acque agitate in cui sia costretto a muoversi il presidente Al Sisi, qui però non c'è solo un'esigenza di verità ma di mantenere salde le relazioni con un Paese amico. E raccontando fregnacce sarà difficile che ciò accada. Certo che la vicenda non ha solo lati oscuri, ma è pure torbidamente intricata. E nessuno riesce a toglierci dalla testa il cattivo pensiero che la manina di qualche servizio segreto sia stata in qualche modo protagonista. Forse nessuno lo ricorda, ma poco prima della morte misteriosa di Regeni, l'Eni aveva scoperto in Egitto il più grande giacimento offshore di gas mai rinvenuto nel Mediterraneo e aveva già stretto accordi con il governo del Cairo.
E dobbiamo anche ricordare le parole pronunciate dal presidente egiziano, all'indomani dei malumori sull'inchiesta per la morte di Regeni, quando aveva dichiarato che c'è qualcuno che sta cercando di minare le relazioni tra l'Egitto e l'Italia. Segnali da cogliere ce ne sono. Il governo italiano ha richiamato l'ambasciatore, per ora. Ma servirà a qualcosa?
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