È la notizia del giorno: la Spagna torna a votare. Ma come, non avevano già votato da pochi mesi? Certo, ma la Spagna, pur retta da una monarchia, è una democrazia: il risultato delle elezioni politiche non era chiaro, per mesi non si è riusciti a costruire una maggioranza stabile di governo, ed allora il re ha proceduto allo scioglimento delle Camere e all'indizione di nuove elezioni. Tutto ciò fa parte delle regole del gioco democratico. Meglio avere un sistema elettorale che non trucca il voto facendo di una minoranza una maggioranza, come da noi è accaduto prima con il Porcellum e come accadrà, ora, con l'Italicum. Ma oggi tutti dimenticano che le elezioni del 2013, nonostante la legge elettorale truffaldina, come dichiarato dalla Corte Costituzionale, non avevano dato un risultato chiaro, esattamente come in Spagna. Eppure da noi la democrazia è stata sospesa con un colpo di Stato guidato da Giorgio Napolitano, il quale si è presentato come salvatore della patria e si è fatto rileggere a capo dello Stato, quando invece andava messo in stato di accusa per tradimento ed attentato alla Costituzione. Ed ecco che Napolitano, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, interviene minacciando che, se fallirà il referendum costituzionale di ottobre, fallirà il rinnovamento del Paese. Tutto falso. Avrebbe dovuto, piuttosto, ammettere: se non sarà confermata la revisione della Costituzione, sarà fallito quel colpo di Stato permanente, (per riprendere il titolo del mio libro) iniziato costringendo alla dimissioni il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nell'autunno del 2011. L'ultimo presidente del Consiglio legittimato da un voto popolare. Quel colpo di Stato continua tuttora e soltanto con il «No» al referendum potrà essere interrotto.
E allora, dopo tre presidenti del Consiglio scelti direttamente da un presidente golpista, non resterà al nuovo capo dello Stato altro che restituire la parola al popolo italiano, il quale ha fame di democrazia come quello spagnolo. Tanta fame
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