Le soluzioni (vere) contro gli allagamenti: spostare le case dai fiumi e non scavare

Gli argini non vanno alzati ma allargati: l'acqua cerca spazio. "Bisogna delocalizzare e spiegare alle persone il perché"

Le soluzioni (vere) contro gli allagamenti: spostare le case dai fiumi e non scavare
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«Restituire spazio al fiume ovunque sia possibile» è scritto nella premessa del Piano di gestione post alluvione 2023. In realtà nella descrizione dei 403 cantieri, avviati o previsti per ridurre il rischio alluvioni in Emilia Romagna, non si parla di opere che «danno spazio» ai fiumi. Si finanziano argini da rafforzare, da rialzare, alvei dei fiumi da ripulire, vasche di laminazione da costruire e tutto ciò che, almeno fino a ieri, pensavamo fosse utile per evitare di far finire nuovamente campi e paesi sott'acqua.

In realtà gli esperti hanno le idee ben chiare sul fatto che la direzione sia un'altra. Ben diversa rispetto a quella seguita finora. E lo dicono prima che siano costruite grandi opere inutilmente.

«Abbiamo trattato i fiumi come fossero tubi - spiega Francesco Occhipinti (Legambiente Emilia Romagna) - li abbiamo fatti passare dove ci ha fatto comodo. E in parecchi tratti gli argini sono gli stessi muri delle case». «La soluzione vera è fare un enorme passo indietro - aggiunge Andrea Goltara, direttore Cirf, il centro italiano per la riqualificazione dei fiumi - I fiumi hanno bisogno di più spazio. Questo non vuol dire riportare le paludi, ma far arretrare gli argini anziché alzarli». Tradotto in termini pratici, serve delocalizzare, abbattere le case e far traslocare i cittadini. Un concetto scomodo, impopolare per qualsiasi campagna elettorale e duro da far digerire alle famiglia. Ma tant'è.

«Delocalizzare è la soluzione - è convinto anche Damiano Di Simine (Legambiente Lombardia) - ma ovviamente ci vorrà del tempo. È necessario levare le grandi opere troppo a ridosso dei fiumi. Finora abbiamo vissuto con un'idraulica delle grandi opere basata su parametri climatici vecchi. Ora va ripensata tutta la rete, il clima è cambiato». Per delocalizzare realmente le persone che abitano a ridosso dei fiumi, al momento manca tutto: manca una stima di quante case siano, di quanti soldi ci vogliano, di quanti comuni siano coinvolti e di quale alternativa abitativa proporre. Ma è necessario, a cominciare da interventi per educare la cittadinanza. Cioè per mettere in testa alla gente che con il rischio di esondazioni ci devono convivere. E che quindi devono imparare cosa devono fare e non fare in caso di emergenza e anche che devono iniziare a pensare che forse dovranno andare a vivere più lontano dall'argine del fiume.

C'è anche un altro errore che gli esperti della rete fluviale vogliono correggere: la pulizia degli alvei. Dopo l'alluvione del 2023 era stata additata come una delle principali responsabili delle esondazioni. Troppi alberi, alvei troppo trascurati. E ora invece scopriamo che gli alvei devono avere «barriere naturali» come rami e tronchi che rallentano la portata dell'acqua. «I fiumi non vanno trattati come i canali - sostiene Goltara - Scavare l'alveo dei fiumi è sbagliato. Piuttosto è urgente affrontare il problema dei ponti che non sono più a norma. Nelle nuove progettazioni devono poter far passare il legname trasportato dall'acqua, vanno costruiti a prova di intasamento». Quindi, se si vuole ridurre il rischio alluvioni, le parole chiave da declinare nel piano strategico sono: delocalizzare e non scavare. Cioè, in sintesi, lasciar fare alla natura, senza intervenire troppo.

Il piano strategico (approvato con notevole ritardo solo a giugno) nasce già vecchio.

E va bene avviare i cantieri urgenti e interventi a medio termine (in alcune aree non si può indugiare) ma è anche necessario rivoluzionare l'approccio. Altrimenti basteranno ancora tre ore di pioggia per ri e ri distruggere tutto.

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