Alberto Monoli, 66 anni: una vita tutta casa e camion. Dai 18 ai 42 anni ha macinato milioni di chilometri lungo le autostrade d'Italia e d'Europa.
Poi Alberto ha tirato il freno a mano e, insieme con i fratelli Renzo e Claudio, si è messo al volante dell'azienda di famiglia specializzata in trasporti pericolosi (soprattutto gas e gpl): una srl fondata da papà Carlo nel 1953 che fino al 2012 fa aveva 26 autisti e una trentina di trucks.
Ma la crisi ha investito anche la ditta «Fratelli Monoli» di Busto Arsizio e ora i dipendenti sono otto e i mezzi una decina; tuttavia la «Monoli» resta un'azienda modello: efficienza, professionalità restano da quasi 70 anni i suoi punti di forza.
Signor Monoli, cosa è successo l'altroieri alla cisterna esplosa sull'autostrada A21, Torino-Brescia?
«È accaduto che, a seguito di un tamponamento, la cisterna carica di benzina del mezzo fermo in strada a causa di un precedente incidente, si è spaccata, facendo fuoriuscire il gasolio che ha innescato il rogo. Non doveva accadere...».
In che senso «non doveva accadere»?
«Una cisterna non dovrebbe mai spaccarsi. Insomma, dovrebbe essere molto più resistente».
Come mai allora quella cisterna ha ceduto?
«Perché da anni le cisterne sono sempre più leggere e sottili».
Qual è il motivo?
«Consentire ai committenti di trasportare più litri di merce».
A discapito della sicurezza.
«Alle holding petrolifere interessa innanzitutto moltiplicare i guadagni».
In Italia c'è un problema di normative inadeguate nel campo del trasporto delle merci pericolose?
«No. Le regole ci sono. E sono anche giustamente severe».
Cos'è allora che manca?
«Non tutti i vettori che operano nel nostro campo agiscono correttamente».
Ci faccia un esempio.
«La corsa alla manodopera a basso costo nasconde molte insidie».
Cioè?
«Ci sono cooperative operanti in Italia che assumono autisti polacchi, ucraini, russi ecc., con stipendi inferiori ai minimi sindacali, risparmiando anche sulla loro formazione professionale».
Vuole dire che alcune delle autocisterne che trasportano merce pericolosa potrebbero essere guidate da persone inadeguate a quel compito?
«Sulla carta sono tutti in regola. Ma in realtà forse non sempre le cose stanno così...».
Gli autisti che viaggiano con alle spalle potenziali «bombe» devono essere in possesso di patente e licenze specifiche?
«Certo. Diventare camionisti professionisti non è impresa facile. Per quelli che trasportano merci a rischio e al di sopra di un determinato tonnellaggio, test e controlli medici sono annuali».
La figura «romantica» del camionista h.24 alla «Nino Patrovita» (Giancarlo Giannini nel film «Il bestione» di Sergio Corbucci) è ormai solo una macchietta?
«Quel film è del '74, praticamente preistoria. Ora i camionisti bevono acqua (e non grappa come «Nino Patrovita»), sono tenuti a non superare un tot numero di ore di guida e ad adeguarsi ad una burocrazia che - me lo lasci dire - forse è anche eccessiva».
Ma, in tema di sicurezza stradale, è sempre meglio una regola in più che una in meno.
«Ha ragione. Ma, oltre alle leggi, a guidarci deve essere un senso del dovere che a volte manca».
Si riferisce a quegli autotrasportatori che taroccano le schede del cronotachimetro?
«Bisognerebbe che tutti fossimo più responsabili: aziende, autisti e - soprattutto - committenti. Magari rinunciando a qualche percentuale di guadagno per evitare che incidenti come quello di martedì sulla Torino-Brescia si ripetano».
Un consiglio?
«Per chi lavora su un camion, stress e fatica sono enormi. Mettetevi alla guida solo se siete in perfetta forma psicofisica. E non fate mai la corsa contro il tempo».
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