La sorte di Durigon in mano a due "giudici". "Lascerà se lo chiedono Draghi o Salvini"

Il ministro Giorgetti al Meeting: "Bisogna stare attenti quando si è al governo"

La sorte di Durigon in mano a due "giudici". "Lascerà se lo chiedono Draghi o Salvini"

«Un membro del governo si dimette o perché lo chiede il presidente del Consiglio o perché glielo chiede il segretario del partito che lo ha indicato o perché glielo suggerisce la sua coscienza. Io non sono Claudio Durigon e quindi non lo so. Dovete chiedere a lui».

Dal palco del meeting di Cl a Rimini, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, l'uomo forte della Lega, il più vicino al premier Draghi, relega le richieste di dimissioni che hanno investito il sottosegretario all'Economia, nei limiti del confronto tra Matteo Salvini e il presidente del Consiglio. E se ieri un altro big leghista che era finora rimasto in silenzio, Massimiliano Fedriga, ha voluto frenare sull'ipotesi di un passo indietro («La richiesta di dimissioni mi sembra eccessiva»), Giorgetti ha usato parole diverse: «Quando si è investiti di responsabilità di governo bisogna essere molto attenti a quello che si fa». Ma ciò valga, precisa, anche per il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, a cui da mesi Salvini chiede di lasciare il Viminale. Nodi politici da sciogliere, insomma, nel perimetro di Palazzo Chigi. Dove però le «divisioni fisiologiche» di una maggioranza eterogenea sono molteplici.

Sul decreto delocalizzazioni a cui stanno lavorando la sua vice Alessandra Todde (M5s) e il ministro del Lavoro Andrea Orlando (Pd), il leghista sa che poi «in cdm bisognerà trovare il maggiore bilanciamento possibile con la necessità di rendere l'Italia un ambiente favorevole agli investimenti. Ma - chiarisce - com'è noto io non parlo di bozze, ce ne saranno forse 12, 15, o 25». Ed è proprio la bozza, con l'impianto sanzionatorio previsto per le aziende che non rispetteranno le regole, ad aver innescato l'attacco di Confindustria che ci ha visto una logica «punitiva» per le imprese. Non è un mistero che anche nel centrodestra siano molti i dubbi sull'efficacia del provvedimento senza degli interventi per rendere attrattivo il sistema Paese. Per questo il testo definitivo «sarà una sintesi di tante diffuse sensibilità e che troverà una risposta unitaria da parte del governo», dice Giorgetti, confidando nell'abile mediazione di Draghi.

E ci sono le complesse crisi industriali con le relative transizioni ad attendere l'esecutivo nei prossimi mesi. In cima Alitalia ed ex Ilva. Sulla prima il ministro replica ai timori dei sindacati sugli effetti occupazionali dell'operazione Ita, la nuova compagnia di bandiera che rileverà una parte degli asset della vecchia: «Non abbiamo la sfera di cristallo. È una situazione molto complicata che però ha delle risposte obbligate. Faremo ovviamente tutto il possibile per limitare i danni, però il settore è quello, i problemi sono quelli conosciuti e le condizioni che ha posto la Commissione europea». E poi l'ex Ilva. Oggi, dopo l'ingresso dello Stato nella capogruppo, la nuova Acciaierie d'Italia deve affrontare la riconversione green. Ma nessuno stallo, assicura Giorgetti, «i nuovi amministratori Ilva presenteranno un piano credibile per il rilancio dell'acciaieria che prevede un consenso tra i due soci e prevede anche la necessità di trovare un consenso sociale, di contesto, sia da parte dei sindacati, sia da parte degli enti territoriali di riferimento, in particolare il comune di Taranto. Siamo prudentemente ottimisti».

E sull'altro dossier, il reddito di cittadinanza, quello più spinoso per gli equilibri in maggioranza dice: «Deve essere attuato e applicato integralmente, e allora ha un senso, ma senza la sua ultima parte (il ricollocamento sul mercato del lavoro, ndr) non può reggere".

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