Madrid «Non fu un abuso. Fu vera e propria violenza sessuale». Il Tribunale Supremo di Spagna, chiamato a decidere sui casi più complicati ha deciso ieri pomeriggio su uno dei più controversi e dibattuti processi degli ultimi anni che aveva diviso il Paese e riportato in auge e nelle piazze spagnole i movimenti femministi.
I fatti che hanno portato al processo sono del luglio del 2016, quando a Pamplona, durante la roboante settimana di fiestas di San Firmino, santo patrono locale, con le pericolose ed esuberanti corse dei tori per le anguste strade medioevali della città, un gruppetto di cinque giovani, tutti tra i venti e i trent'anni, aveva condotto una ragazza diciottenne in un'abitazione abbandonata: qui, secondo i legali degli imputati, soprannominati dalla stampa «La Manada», il branco, la ragazza, molto ubriaca, aveva acconsentito ad avere diversi rapporti sessuali coi cinque, tra cui tre agenti in servizio alla Guardia Civil. Diversa, invece, la versione della ragazza che, impaurita e choccata, dopo una notte di violenze, si era recata in questura, denunciando l'aggressione sessuale e il furto del cellulare.
Alla denuncia erano seguite due sentenze, dopo un lungo dibattimento che aveva assunto importanti risvolti mediatici, dividendo il Paese: sia in primo che in secondo grado i giudici del Tribunale della Navarra avevano stabilito che non c'era stata violenza sessuale, ma soltanto un abuso. Un gioco tra giovani ubriachi (e impasticcati), fuggito di mano, lasciando intendere che la diciottenne era stata consenziente: i legali del branco avevano, infatti, mostrato due video registrati quella notte dagli imputati e diffusi via WhatsApp, in cui si vedeva la ragazza che, prima si lasciava baciare e poi, a occhi chiusi, si sottoponeva a un rapporto sessuale, vaginale e anale, senza muoversi né lamentarsi. La ragazza, interrogata dal magistrato, aveva risposto che aveva chiuso gli occhi, «perché sperava che tutto quello schifo si concludesse più velocemente», mentre per la difesa era la prova evidente del suo consenso. Al contrario l'accusa aveva spiegato, anche con la testimonianza di uno psicologo esperto di traumi, che la vittima era troppo terrorizzata per muoversi o reagire. Tuttavia i giudici avevano ritenuto che non ci fosse stata violenza o intimidazione, e quindi non si poteva parlare di aggressione, ma solo di abuso, denunciando i cinque al pagamento di una multa, delle spese processuali e a un centinaio d'ore di servizi sociali, mentre l'accusa aveva chiesto una condanna per violenza e stupro a nove anni.
Ieri il Tribunale Supremo di Madrid ha ribaltato la sentenza, condannando in modo definitivo i cinque a 15 anni di carcere per violenza sessuale e al risarcimento di 100 mila euro alla vittima.
Nella sentenza si legge che: «I fatti testimoniano uno scenario intimidatorio, in cui la vittima in nessun momento acconsente agli atti sessuali compiuti dagli imputati», e aggiunge che «la giovane ha subito una situazione scoraggiante che ha indotto se stessa ad adottare un atteggiamento di totale sottomissione, angosciata dal timore di rischiare la vita in caso di reazione in un rapporto di forza sproporzionato, uno a cinque».Un grande risultato di giustizia per le associazioni contro le violenze di genere che «ristabilisce la verità, dopo 1080 giorni d'impunità per il branco di stupratori».
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