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Spagna, Rajoy è al capolinea Abbandonato dai suoi alleati

Gli indignati di Ciudadanos chiedono un nuovo voto I socialisti chiedono di votare la sfiducia per governare

Spagna, Rajoy è al capolinea Abbandonato dai suoi alleati

È riuscito con un pizzico di fortuna e tanto coraggio a tagliare la spesa pubblica. A far uscire la Spagna dalla tremenda crisi finanziaria, tirandola per i capelli e rimettendola sui binari della crescita economica. È riuscito persino ad avere l'appoggio del Psoe, durante la crisi catalana, ma non è riuscito a risolverla. E a salvarsi da essa. Secondo alcuni commentatori, l'ha peggiorata con l'uso spropositato della forza. E non ha sciolto la lunga crisi d'idee, leadership e corruzione che si sta lentamente divorando il Partido Popular.

Il premier Mariano Rajoy, galiziano doc, beffato per due volte alle urne, nel 2004 e nel 2008, dai Socialisti di Zapatero, in queste ore non riesce a salvare il suo esecutivo, benché abbia un consenso stabile alle Camere. Indebolito dallo scandalo Gürtel, la madre di tutte le tangenti iberiche (con al centro l'imprenditore Francisco Correa) che non l'ha coinvolto giudiziariamente, ma agli occhi degli spagnoli l'ha condannato moralmente. La sentenza definitiva, arrivata dopo undici anni di indagini e processi, ha amputato la parte più marcia del PP, esponendo pericolosamente il suo esecutivo alla crisi. Perché è impossibile credere «alla sua totale estraneità e inconsapevolezza» nella gestione disinvolta dei soldi pubblici nelle mani dell'ex tesoriere del PP, condannato a 15 anni, Luis Barcenas, che dal carcere ha cantato precise e ben circostanziate accuse su di lui.

Adesso, mentre i Socialisti di Pedro Sánchez, ringalluzziti dalla sentenza definitiva sul caso Gürtel, preparano una mozione di sfiducia contro di lui, Rajoy, il grigio ragioniere, piuttosto inviso agli spagnoli, rimane sospeso sul filo, tentando un difficile equilibrio di sopravvivenza, quando molti lo vedono ormai giunto al capolinea.

La frangia di Ciudadanos, gli indignati di centro-destra, unica forza che appoggia il PP dall'inizio della legislatura, ha già parlato chiaramente: se Rajoy cade, si va di corsa a elezioni anticipate. Tuttavia, la Costituzione spagnola, meno blindata e rigida rispetto alla Carta italiana, prevede (come anche quella tedesca) che in caso di approvazione della mozione di sfiducia contro il premier (e non è sicuro che ciò avvenga), l'esecutivo passi all'opposizione. E, in tal caso, Sánchez sarebbe l'asso pigliatutto, rischi d'ingovernabilità inclusi. Il bel Pedro, sostenuto da Podemos (incognita), dai nazionalisti catalani e canari, potrebbe anche farcela. Ma da sempre litiga con un'importante parte interna del Psoe, proprio sul tema scottante dell'indipendentismo. «Sánchez ha davvero voglia di prendersi in mano la patata bollente della questione catalana? E poi giostrarla con la scheggia impazzita di Podemos, pronto a correre da solo? E vuole davvero spaccare in due il suo partito, quando esiste uno zoccolo duro di socialisti che, davanti a una gestione morbida della crisi con Barcellona, gli leverebbe la poltrona», spiega a Il Giornale Pier Sandri de LaVanguardia, e aggiunge: «Se si andasse ora alle elezioni, il Psoe perderebbe, schiacciato da Podemos e Ciudadanos, proprio per l'apertura a Quim Torra.

Per Sanchez non c'è una via d'uscita. Se governa e cede ai nazionalisti, perde il grande serbatoio di voti dell'Andalusia e non arriva al 2020. Se va alle urne, ne esce a pezzi. Però lui deve agire, per non essere accusato di non avere fatto opposizione».

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