È più che mai l'Europa il vaso di coccio stretto tra i due vasi di ferro americano e russo. Assente per ovvie ragioni al vertice bilaterale di Helsinki, l'Unione europea è l'oggetto di interessate e non amichevoli attenzioni da parte sia di Donald Trump che di Vladimir Putin. I quali, ciascuno per proprie ragioni, hanno interesse a indebolire - quando non addirittura a smantellare - le strutture multinazionali del Vecchio Continente.
Il presidente americano ha addirittura fatto precedere il suo sbarco nella capitale finlandese dall'inaudita dichiarazione «l'Europa è un nostro nemico per quello che fa in ambito commerciale», ma praticamente ogni sua mossa europea, prima fra tutte il sostegno aperto alla Brexit nella sua versione più dura, mira all'obiettivo di separare ciò che oggi è unito per poter più vantaggiosamente trattare con i singoli Paesi. Da parte sua, il leader del Cremlino ha dimostrato in molti modi di voler raggiungere un obiettivo simile: prima di tutto con un aperto sostegno a tutte quelle forze politiche (a partire dal Front National in Francia e dalla Lega in Italia) che contestano l'Ue in nome del sovranismo, ma anche più subdolamente attraverso l'uso dello hackering, senza dimenticare un riarmo di natura tutt'altro che difensiva e di cui troppo facilmente si dimentica l'obiettivo: noi occidentali.
Già al vertice Nato della scorsa settimana si respirava il timore di un avvicinamento «poco ortodosso» di Trump al leader russo a Helsinki. In particolare, in Europa occidentale era palpabile la preoccupazione che il presidente americano potesse lasciarsi tentare dal fare concessioni pericolose in ambito politico e militare: riconoscendo in qualche forma l'occupazione russa della Crimea o l'esistenza di un presunto diritto d'influenza di Mosca in un quello che al Cremlino definiscono «estero vicino», ovvero la vasta area un tempo sotto il controllo sovietico che va dall'Asia Centrale all'Europa orientale. Il peggior incubo, soprattutto tra gli alleati baltici e polacchi, consisteva nell'eventualità che Trump decidesse di concordare con Putin un «amichevole disarmo parziale» sul suolo europeo, che invece di favorire la pace avvicinerebbe una guerra.
Più in generale, il rischio a partire da Helsinki - dove Trump ha volentieri accettato l'assicurazione di Putin di non essersi intromesso nelle elezioni presidenziali Usa del 2016 da lui vinte contro la temutissima (al Cremlino) Hillary Clinton - è quello che il presidente-tycoon, privo di qualsivoglia esperienza politica soprattutto internazionale, si lasci trascinare a commettere con Putin errori simili a quelli che nel giugno 1961 commise John Kennedy con Nikita Kruscev nel loro incontro di Vienna: l'esperto leader sovietico colse abilmente i punti deboli del novellino JFK e decise di lanciare un'offensiva che portò alla costruzione del Muro di Berlino e alla pericolosa crisi dei missili a Cuba.
Tornando all'Europa, l'incontro fatale tra due leader che la considerano - in forma aggiornata - il loro campo di battaglia la obbligherà (o dovrebbe obbligarla) a una reazione.
Che potrebbe concretizzarsi in un tentativo di rilancio dell'azione comune europea con l'obiettivo di sfuggire alla morsa russo-americana, all'insegna di un ennesimo «ora o mai più», o più realisticamente nella presa d'atto da parte dei principali protagonisti (Germania, Francia, Regno Unito e teoricamente Italia) che un'epoca è finita e che è giunta l'ora di aggiornare schemi, alleanze e priorità. Toccherà scegliere con chi stare, in altre parole, e potrà essere molto pericoloso.
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