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Spunta un nuovo dossier che inchioda il governo: "10mila morti evitabili"

Il documento sul tavolo dei magistrati: "Protocolli inadeguati". Ritardi e mascherine, ecco tutti gli errori

Spunta un nuovo dossier che inchioda il governo: "10mila morti evitabili"

I calcoli sono sempre difficili, ma i numeri sono impressionanti: se l'Italia avesse aggiornato i piani contro le pandemie, si sarebbero salvate diecimila persone. Diecimila morti in meno su un totale di 35 mila. «I protocolli erano inadeguati» e l'Italia non ha dato seguito alla richiesta dell'Organizzazione mondiale della sanità, formulata nel 2017, di rivedere le strategie in questa materia sensibilissima. Poi e arrivato il Covid, inatteso e fulmineo, e il Paese si e trovato impreparato.

È un atto d'accusa durissimo quello firmato dal generale dell'Esercito Pier Paolo Lunelli, oggi in pensione ma in passato comandante della Scuola per la difesa nucleare, batteriologica e chimica. Il documento, anticipato dal Guardian e presto sul tavolo dei magistrati, dice una verità molto semplice: il governo poteva e doveva fare di più. Non aveva la palla di vetro, davanti a un nemico di fatto sconosciuto, ma se avesse dato retta alle linee guida dell'Oms e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, si sarebbe trovato a gestire la drammatica emergenza in un altro modo.

Il report conferma, sia pure indirettamente e su un altro versante, le carenze e le criticità già evidenziate da alcuni esperti nei mesi scorsi. L'esecutivo dichiarò alla fine di gennaio lo stato di emergenza, poi rimase un mese inerte, senza prendere le necessarie contromisure per fermare l'epidemia che stava arrivando dalla Cina. Le mascherine, per toccare un tasto dolente, erano di fatto introvabili e in ogni caso venivano considerate uno strumento di cui si poteva benissimo fare a meno o da indossare solo in certe situazioni, in una casistica grottesca, confusa e incomprensibile.

Non solo, pure i tamponi venivano centellinati e utilizzati solo per certificare la malattia conclamata e non per prevenirla e tagliare la strada al virus, prima che dilagasse come il nemico.

Tutti elementi da considerare nel giorno in cui arriva la notizia, diffusa dall'Eco di Bergamo, che la procura della città non ha trovato contraddizioni nel racconto del premier Conte, interrogato il 12 giugno, sulla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, alle porte della città. Ci furono ritardi, disguidi, estenuanti dialoghi fra Milano e Roma, ma non se ne fece nulla e la situazione precipitò.

Si possono attribuire precise e gravi responsabilità politiche a Palazzo Chigi e a Palazzo Lombardia, al governo e alla Regione. Si può riflettere sul tempo perso: Conte venne a sapere che il Cts voleva blindare quei comuni solo dopo due giorni, quando anche le ore e i minuti erano decisivi. Ma è arduo imbrigliare il tutto nel perimetro del codice penale. E suscita sconcerto l'idea di leggere la storia recente come un sterminato verbale di cronaca giudiziaria. Come aveva scritto il Giornale, può essere che anche l'indagine di Bergamo, assai più delicata rispetto all'accozzaglia di denunce ora vagliate dai pm di Roma, si risolva in niente e si concluda con una raffica di archiviazioni.

Ma, per quanto possa sembrare paradossale, proprio l'eventuale flop del procedimento penale potrebbe confermare le mancanze e gli scricchiolii dell'azione del governo e dei governatori. Qualcuno, per esempio, potrebbe cavarsela per aver ubbidito a direttive e norme mal fatte, disegnate in modo astratto e con passo burocratico.

Insomma, alla fine occorrerà leggere fra le righe dei provvedimenti che prima o poi i giudici prenderanno.

Il governo - come emerge ora in modo netto dall'analisi del generale Lunelli - poteva fare di più. Molto di più.

Ma il dibattimento dovrebbe svolgersi lontano dai tribunali.

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