Proiettili, minacce di morte, linciaggi e spedizioni punitive: per 30 anni, tra silenzio e complicità politiche, Askatasuna, il cuore dell'antagonismo torinese, ha instaurato un regime del terrore. Lo sgombero del centro sociale, disposto dal ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, può essere la nuova miccia esplosiva. Il leader di Askatasuna Giorgio Rossetto lancia la chiamata alle armi. Eppure, in questi 30 anni chi ha provato a far rispettare la legge a movimenti Askatasuna e No Tav è finito nel mirino. Minacciato di morte. Costretto a una vita blindata tra scorte e anonimato. La lista dei bersagli è lunghissima. Magistrati, politici, imprenditori e addirittura operai. L'ultima fatwa è contro l'assessore regionale di Fratelli d'Italia Maurizio Marrone. "Marrone datte fuoco", è la scritta comparsa in una strada nel quartiere Vanchiglia a Torino dove era insediato il centro sociale Askatasuna.
"Aska vive", è un'altra scritta, evidentemente tracciata con lo spray dalla stessa mano, apparsa a pochi passi di distanza. Un altro politico torinese, vive da oltre 20 anni sotto tutela: Stefano Esposito, ex parlamentare Pd. La sua colpa? Non aver prestato il fianco, come molti colleghi di partito e della sinistra in generale, alla violenza di Askatasuna. Il 13 gennaio 2014 l'abitazione di Esposito viene colpita con una molotov. Oltre la bottiglia viene recapitato un biglietto che faceva riferimento ad un incontro privato che Esposito aveva avuto. "Torna in prefettura, altrimenti farai bum bum ora che non c'è più il procuratore Caselli a proteggerti". Non solo minacce. Ma anche pedinamenti. Ancora Esposito finisce nel mirino degli antagonisti. Un'altra lettera: "Ormai la tua vita non vale più niente. Il popolo si è organizzato. Sei il primo della lista. Nessuno è in grado di proteggerti". La Digos indaga. I dubbi sono pochi sui mandanti.
Il regime del terrore punta in alto: i magistrati (non amici). E nel mirino finiscono Antonio Rinaudo, pm che in passato aveva combattuto le Brigate rosse e che da pubblico ministero di Torino coordina le indagini sull'antagonismo e su Askatasuna. E poi l'ex capo della Procura di Torino Giancarlo Caselli. Fino alla Procuratrice generale di Torino Lucia Musti. La sua colpa aver denunciato, in occasione dell'inaugurazione dell'ultimo anno giudiziario, il modus operandi di Askatasuna, considerata il braccio operativo e la mente di tutti gli assalti contro le Istituzioni. La reazione non si è fatta attendere. Alla Musti è arriva una lettera del Nuovo Partito Comunista Italiano (N-Pci), che fa parte della galassia Aska, che la definisce "prezzolata e serva della mafia del Tav". Il Prefetto di Torino ha dovuto predisporre per la procuratrice il livello più alto di protezione.
Amici degli operai. A parole. Nel maggio del 2013 un gruppo di operai del cantiere per l'alta velocità in Val di Susa fu minacciato di morte. Famiglie e figli pedinati e costretti a cambiare paese. Ieri dopo l'ennesimo assalto contro le forze dell'ordine, il governo tira dritto. Il vicepremier Antonio Tajani avverte: "Non ci faremo intimidire".
Matteo Salvini è tranchant: "Ruspe nei centri sociali, covi di delinquenti". Il collega Paolo Zangrillo: "Askatasuna centro di cultura? Balle". Messaggio al sindaco Stefano Lo Russo che fa retromarcia e riapre la trattativa per un accordo di collaborazione".