Another break in the wall. Un'altra crepa nel muro. Dell'euro. Picconate sull'unione monetaria che rischiano di arrivare dall'Italia se al referendum costituzionale vincerà il «No». Uno choc avverso che potrebbe portare Roma a tagliare il cordone ombelicale che ci lega alla moneta unica, con conseguenze disastrose. Man mano che ci si avvicina al 4 dicembre, i timori dei poteri forti, di quella parte dell'establishment che di solito lavora sotto traccia, crescono come l'alta marea. Ne fanno da megafono due articoli sparati ieri, nelle edizioni europee, dal Financial Times e dal Wall Street Journal.
L'Ft affida alla penna del tedesco Wolfgang Münchau un commento che è un profumato spottone per il nostro premier. L'assioma è questo: «Se Matteo Renzi perde al referendum, mi aspetterei una sequenza di eventi che solleverebbero domande sulla partecipazione dell'Italia alla zona euro». È l'assunto a essere sbagliato, però, nella parte che vede nella Lega, Forza Italia e Cinque Stelle tre compatte forze centrifughe rispetto all'euro. A parte la manifesta ostilità di Salvini, né il partito fondato da Silvio Berlusconi né il movimento guidato da Grillo si sono mai dichiarati a favore dell'Italexit. In modo più puntuale, il Wsj ricorda che con il M5s al governo verrebbe chiesta una rinegoziazione del debito e sarebbe una consultazione popolare a stabilire la permanenza del Paese nell'euro. Ma il ciaone alla moneta unica presenterebbe subito il conto a tutti, sotto forma di una picchiata del 20% (la previsione è di Deutsche Bank) dell'indice Stoxx Euro 600. Il Financial Times si spinge ancora più in là, alla catastrofe continentale in caso di affermazione in Francia di Marine Le Pen: «Un'uscita dall'euro della Francia o dell'Italia potrebbe portare al più grande default della storia».
Terrorismo un tanto al chilo che fa il paio con un altro passaggio ansiogeno in cui Münchau tira le somme su ciò che capiterebbe se l'inquilino di Palazzo Chigi facesse le valigie: «Gli investitori potrebbero concludere che è finita. Il 5 dicembre l'Europa potrebbe risvegliarsi con una minaccia immediata di disintegrazione». Peccato che poi l'autore si contraddica quando elenca i veri problemi che attanagliano l'Italia: la perdurante debolezza economica dall'ingresso nell'euro; il lascito velenoso dell'austerity; l'assenza di un'unione bancaria dopo la crisi dei debiti sovrani. Tre fattori negativi che nulla hanno da spartire col referendum.
Più concentrato sui più recenti eventi è il Wall Street Journal, che ricorda che se la Borsa di Milano ha perso meno dell'1% dalla fine di settembre, le tensioni legate all'esito del referendum hanno fatto salire, dai 97mila dollari di gennaio a 170mila dollari, il costo annuale su 10 milioni di dollari di debito italiano a 5 anni di quelle polizze contro la bancarotta che sono i cds (credit default swap). E poi c'è l'ascesa dello spread Btp-Bund (ieri a 179 punti dopo un picco a 183).
«Non vorremmo vedere il famoso spread che cresce, dobbiamo stare molto attenti, comunque vada il referendum», è il commento del presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Conclude il Wsj: se l'Italia subisce uno choc e la Bce non riesce a calmare i mercati, «il rischio di contagio su altri Paesi europei è molto più grande della Brexit».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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