La star contro Zuckerberg: "Dittatore, vada in carcere"

L'attore inglese Baron Cohen attacca Facebook: "Se Hitler fosse vivo, la Shoah sarebbe sui social"

La star contro Zuckerberg: "Dittatore, vada in carcere"

Le nostre democrazie «sull'orlo del precipizio». Mark Zuckerberg come Cesare nell'Impero Romano. E con lui, capo di Facebook, gli altri miliardari della Silicon Valley alla guida di Google, Alphabet, YouTube e Twitter. Sei americani in tutto, «più preoccupati di far impennare il valore delle loro azioni che di proteggere la democrazia». Intenti a difendere «il loro imperialismo ideologico, imporre la propria visione al resto del mondo, senza rispondere a nessun governo e comportandosi come se fossero al di sopra della legge». L'ultima cannonata contro i social media arriva da Sacha Baron Cohen, l'attore inglese oggi protagonista della serie Netflix «The Spy» e arcinoto per il personaggio estremo e dissacrante di «Borat», giornalista del Kazakistan razzista, antisemita e misogino, creato e interpretato dalla star nell'omonima pellicola, che lui stesso definisce «un modo per svelare alla gente i propri pregiudizi». Proclamato l'anno scorso dal «Times» uno dei trenta migliori attori comici viventi, Baron Cohen ha parlato a New York dal pulpito di un summit della Anti Defamation League, l'organizzazione internazionale ebraica con sede negli Stati Uniti e che si batte per i diritti umani e i diritti civili. E si è detto «terrorizzato» per come oggi nel mondo i «demagoghi facciano appello ai nostri peggiori istinti» e per quanto spazio venga loro dato dai social media, che definisce «la più grande macchina di propaganda della storia».

L'affondo arriva a pochi giorni da un altro pesantissimo verdetto contro Facebook e Google, firmato da Amnesty International, che li ha definiti una minaccia per i diritti umani, a causa del loro modello di business basato sulla sorveglianza e la violazione del diritto alla privacy. Baron Cohen rincara la dose, dopo aver ricordato il suo passato antifascista e anti-apartheid quando era ancora un ragazzo nel Regno Unito: «È come se l'Illuminismo stia finendo e ora la conoscenza sia delegittimata, il consenso scientifico respinto». Tutto sembra legittimo. «Così Breibart - il sito di estrema destra di Steve Bannon, considerato fonte di propaganda razzista e fake news - assomiglia alla Bbc», spiega Cohen. E i social media sono diventati piattaforme in cui è sempre più facile «interferire nelle nostre elezioni», «facilitare un genocidio, come in Myanmar» e «diffondere messaggi politici di qualsiasi genere». L'accusa è la stessa per la quale Zuckerberg è finito nel tritacarne delle domande a raffica della deputata democratica Alexandra Ocasio-Cortez, di fronte alla Commissione Servizi Finanziari della Camera degli Stati Uniti qualche settimana fa, quando - obtorto collo - il fondatore di Facebook ha dovuto ammettere di «non poter fare nulla» di fronte a messaggi politici falsi diffusi da chi paga per la loro promozione perché questa è la policy del social network, garanzia alla «libertà di espressione». «Se paghi saranno pubblicati, anche se si tratta di bugie», infierisce Baron Cohen. Che aggiunge: «In base a questa logica, se Fb ci fosse stato negli anni Trenta, avrebbe consentito a Hitler di pubblicare un messaggio politico sulla soluzione finale al problema degli ebrei».

Preoccupato per gli appuntamenti politici che aspettano il mondo - dalle elezioni nel Regno Unito il 12 dicembre alle presidenziali Usa del 2020 - l'attore non ci sta ad accettare l'alibi del troppo difficile, troppo costoso controllare tutti i contenuti, avanzato da Facebook. «Sono le più ricche compagnie al mondo, con i migliori ingegneri al mondo. Se volessero, potrebbero risolvere questi problemi». Ma visto che si rifiutano, almeno corrano i rischi di tutti gli altri editori: rispondano di diffamazione. Infine Cohen sventola l'ipotesi delle manette.

«Forse è tempo di dire a Zuckerberg e agli amministratori delegati di queste aziende: avete già concesso a una potenza straniera di interferire nelle nostre elezioni, avete facilitato il genocidio in Myanmar, fatelo di nuovo e finirete in prigione».

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