Tra Stati Uniti e Messico la guerra della Coca Cola (che fa infuriare Trump)

Spopola la bevanda prodotta al Sud: "È più buona". E ora il New York Times ne fa un caso

Tra Stati Uniti e Messico la guerra della Coca Cola (che fa infuriare Trump)

È la bibita più americana in assoluto, non ha bisogno di pubblicità perché, ogni secondo nel mondo, si stappano dalle 3 alle 4 bottiglie. Da sempre imitata, la Coca-Cola, nel gusto e nell'assonanza del nome, da settimane, le sue bollicine sono finite al centro di una vivace querelle tra Stati Uniti, primo produttore mondiale, e il Messico, primo consumatore nel mercato latinoamericano.

La bibita di Atlanta, quella «Made in Usa» ha perso qualche piccolo, ma consistente numero nelle vendite, proprio in patria, preferita alla «Mexi-Coke», la cola prodotta su licenza della Company americana in Messico. Il merito del boom d'importazioni dl Messico agli Usa della «Mexi-Coke» va allo zucchero di canna utilizzato al posto di quello bianco più raffinato (e dannoso per la salute) utilizzato in Usa, Europa, Africa e Giappone. Inoltre, in Messico, la Coca-Cola è venduta in gran parte soltanto in bottigliette di vetro, materiale più adatto nel mantenere le qualità organolettiche e anche più vintage. Con tanti saluti alla filosofia pop di Andy Warhol che recitava: «Tutte le Coca-Cola sono uguali e tutte le Coca-Cola sono buone».

A sostenere la tesi di quanto sia migliore la Mexi-Coke è anche il New York Times. Il giornalista Rob Walker, scrive cha la versione messicana «è più apprezzabile. La sua bottiglia in vetro molto anni Cinquanta e ha un sapore nettamente superiore alla nostra». A New York, la mania è contagiosa e non si bada a spese per la Cola «hecha in Mexico», anche il doppio o triplo del prezzo. Qualcuno parla, addirittura, di una cospirazione. Nel 1985 la Coca-Cola Company, in svantaggio rispetto alle vendite della Pepsi (il cui testimonial era Michael Jackson), decise di modificare alcuni ingredienti, introducendo, soltanto in Usa, la «New Coke». Tuttavia, i consumatori più affezionati, non gradirono il nuovo sapore e a gran voce chiesero il ritorno all'originale. E furono accontentati con la Coca-Cola Classic che sbaragliò la Pepsi. «Fu un giochino psicologico, travestito da manovra commerciale», scrive il New York Times: straniare il prodotto al consumatore abituato, per poi rimpiazzarlo, tale e quale. Secondo i cospiratori, in realtà, c'era un altro fine ben più sottile: cambiare dolcificante, abbandonando lo zucchero di canna (troppo costoso), a favore dello sciroppo di mais, più economico.

La Coca-Cola avrebbe, così, perso il gusto originario, senza però che i clienti se ne accorgessero, felici per il ritorno alla vecchia formula. «Dal 2005 abbiamo siglato un accordo ed esportiamo Coca-Cola negli Stati Uniti, all'insegna del Proyecto nostalgia, approfittando della richiesta della popolazione ispanica e soprattutto dei nostri connazionali», spiega Guillermo Garza, portavoce della messicana Arca Co., che produce la bibita su licenza della Coca-Cola Company.

Al presidente Donald Trump la vicenda non piace. Mettere un dazio su una bibita americana, prodotta in Messico, e venduta in Usa, sarebbe assurdo.

Si punirebbe una company americana. Lui beve sei lattine di Pepsi light al giorno, per differenziarsi da Obama, cui piace la Diet Coke. E per ringraziare la Pepsi che gli donò un milione di dollari per le presidenziali.

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