Storari dai pm fa scaricabarile su Davigo "Lui era titolato ad avere gli atti"

È stato interrogato per 3 ore. Il suo avvocato: "Era stato autorizzato". In settimana vertice tra le procure di Roma e Brescia per la competenza

Storari dai pm fa scaricabarile su Davigo "Lui era titolato ad avere gli atti"

Roma. Circa tre ore di faccia a faccia negli uffici romani della procura generale in Piazza Adriana con il capo della procura romana Michele Prestipino e i sostituti Rosalia Affinito e Fabrizio Tucci. Quanto basta al pm milanese Paolo Storari per provare a chiamarsi fuori dalla storiaccia dei verbali di Amara, che lo vede indagato per rivelazione del segreto d'ufficio, lasciando la patata bollente nelle mani dell'ex membro del Csm Piercamillo Davigo, esattamente come nelle stesse mani aveva lasciato quei verbali secretati con le accuse lanciate contro importanti magistrati dall'avvocato siciliano.

L'avvocato della toga milanese, Paolo Della Sala, non parla di quanto il suo assistito ha raccontato in quanto «è di assoluta pertinenza dell'autorità giudiziaria», ma una cosa la dice, e chiaramente. Ossia che quanto accaduto «è perfettamente legittimo è conforme a legge», in quanto «tecnicamente il dottor Davigo era persona autorizzata a ricevere quegli atti, tale si era qualificato, e in tal senso aveva autorizzato il dottor Storari». Dunque il pm che si era ritrovato tra le mani quei verbali, dopo aver accennato del loro contenuto a Davigo era stato - è il senso delle parole del legale - «autorizzato» a dargliene copia. E in fondo lo stesso Davigo, parlando a Piazzapulita, aveva confermato di aver tranquillizzato Storari spiegandogli «che il segreto investigativo, per espressa circolare del Csm, non è opponibile in Csm». E ora che Storari si ritrova indagato, si premura di ricordarla, quella spiegazione, ribadendo in tre passaggi sia che l'ex consigliere di Palazzo dei Marescialli poteva prendere quelle carte, sia che lo stesso lo aveva fatto presente, appunto «autorizzando» il 55enne collega milanese a dargliele a cuor leggero, nella sua casa milanese.

Insomma, la rivelazione del segreto è avvenuta in un altro momento, sostiene Storari, che passò quel verbale a Davigo per «tatto istituzionale», come ha spiegato ieri, ma anche per «autotutela», essendo perplesso perché i suoi colleghi non avevano proceduto con le indagini - e tantomeno con le iscrizioni nel registro degli indagati - dopo le accuse e i nomi fatti da Amara in quell'interrogatorio che «battezzava» la loggia Ungheria e faceva i nomi dei suoi presunti membri togati. Davigo, come è noto, ha già parlato della questione sia con i pm romani che alle telecamere de La7, sostenendo che l'irritualità di quel passaggio di atti era dal suo punto di vista dovuta perché, per non «svelare» la vicenda, «non si potevano seguire le vie formali». Un punto che, pur offrendo il fianco a critiche (proprio il presunto membro - secondo Amara - della «loggia» Sebastiano Ardita ha attaccato come «gravissima» la posizione di Davigo, cofondatore con lui della corrente dell'Anm Autonomia e indipendenza), ha offerto a Davigo un «alibi» grazie al quale chiamarsi fuori dalla fuga di notizie, ossia la spedizione di quei verbali in forma anonima alle redazioni di alcuni quotidiani, di cui è accusata di essere responsabile la sua ex segretaria al Csm, Marcella Contrafatto, ora indagata per calunnia. Ma Davigo, appunto, sostiene che non avrebbe avuto senso da un lato evitare il disvelamento di quegli atti e dall'altro farli recapitare ai giornali. Davigo non spiega - almeno in tv, non sappiamo che cosa abbia detto ai pm romani - perché mai la segretaria l'avrebbe fatto, spinta da che cosa o da chi, e a Piazzapulita si limita a stupirsi che possa essere stata davvero lei.

Nel caos c'è anche da dirimere la questione della competenza, visto che il passaggio di carte tra Storari e Davigo è avvenuto a Milano e dunque a indagare dovrebbe essere Brescia. Così le toghe capitoline e quelle del capoluogo lombardo si incontreranno presto per dividersi il lavoro, e capire se e quali atti trasmettere dalla Capitale, dove però si indaga anche per il più grave reato di calunnia, appunto contestato alla Contrafatto. Il cui legale, intanto, sostiene che della calunnia manchi il presupposto, e ha già annunciato che, dopo essersi avvalsa della facoltà di non rispondere, ora la sua cliente è «pronta a collaborare con le indagini».

Spiegando magari non solo che ci faceva a casa sua quella busta con 4mila euro e una data a ridosso dell'invio dei dossier ritrovata durante le perquisizioni, ma anche in che modo venne in possesso di quel verbale e da chi ricevette l'input di «diffonderlo» spedendolo ai giornali.

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