
Paolo Mendico, il 15enne che si è tolto la vita in provincia di Latina perché vittima di bullismo, si è davvero suicidato? Il Procuratore della Repubblica di Cassino Carlo Fucci non chiude la porta ad altre ipotesi: "Le prime evidenze ci parlano di un suicidio e nulla per ora ci fa dubitare del contrario. Ma dobbiamo avere prima la relazione del medico legale per poterlo dire con certezza. E al momento quella relazione non è ancora pronta". Un passaggio obbligato per poter procedere, senza illazioni di alcun tipo.
Fatto sta che le indagini si stanno allargando. Non si limitano solo alla scuola ma sono estese ai legami della sua vita. Paolo non ha lasciato bigliettini, non ha raccontato a nessuno del suo disagio e quindi si sta cercando di ricostruire il quadro psicologico, indagando in quel suo mondo interiore in cui, accanto alle passioni per la musica e agli impegni quotidiani, pungevano sottopelle anche tanta fragilità e senso di inadeguatezza. "Vogliamo ricostruire la sua esistenza e capire cosa sia accaduto. Nulla viene escluso: scuola, amicizie, hobby, scuole musicali, parenti. Vogliamo una visione il più completa e nitida possibile". La decisione del procuratore arriva da una considerazione: il suicidio, avvenuto nella note prima dell'inizio della scuola, è difficile che sia stato compiuto d'impeto. "L'esperienza ci insegna che il fatto scatenante è preceduto da un percorso di convincimento interiore spesso lento. Poi è sufficiente una goccia a far traboccare il vaso. Ma noi vogliamo capire il percorso e la goccia".
Sotto analisi vari elementi: il ruolo dello sportello scolastico che ha il compito di intercettare eventuali disagi, i telefonini e il computer utilizzati da Paolo, le chat. E anche le figure di adulti che ruotavano nella quotidianità del ragazzino. "Sulle posizioni di eventuali minori la Procura della Repubblica di Cassino non entra, deve essere neutra - spiega il procuratore Fucci - qualsiasi nome di minore, circostanza che li coinvolga a qualsiasi titolo e venga ritenuta meritevole di approfondimento, viene girata, nell'ambito del nostro lavoro di coordinamento, ai colleghi della Procura dei Minori". La famiglia ha indicato agli inquirenti 4 ragazzini, quelli che prendevano in giro Paolo chiamandolo Nino D'Angelo per via del caschetto biondo. "Ma - interviene Ivan, fratello di Paolo - se stanno indagando anche su persone adulte è perchè vuol dire che le vessazioni non le ha ricevute solamente dai compagni, dai bulletti che lo prendevano in giro. Credo che sia normale, in questa fase di indagini, non essendoci un colpevole diretto e non avendo lasciato lui un messaggio scritto". Il fratello insiste sulla responsabilità della scuola: "Ci sono decine di chat e infinite discussioni in gruppi scolastici che dimostrano tutto, oltre a quaderni con note messe e firmate da insegnanti rispetto a chiare vessazioni". Accuse respinte dall'istituto frequentato dal ragazzino.
"A noi non è mai pervenuta alcun tipo di denuncia da parte dei genitori, né questi ultimi hanno mai chiesto un colloquio con me. Anzi, avevano scelto la nostra scuola proprio perchè inclusiva" la riposta della dirigente scolastica, Gina Antonetti.