Suicida dopo lo stupro. Sono serviti 8 anni per processare il branco

Alice scrisse: "Questo segreto mi sta divorando". A giudizio due dei quattro che abusarono di lei

Suicida dopo lo stupro. Sono serviti 8 anni per processare il branco
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«Nessuno di voi sa e saprà mai con cosa ho dovuto convivere da un periodo a questa parte. Questo segreto dentro di me mi sta divorando». Il commiato affidato a Facebook dalla 17enne Alice Schembri, che il 18 maggio 2017 si lanciò nel vuoto dalla Rupe Atenea di Agrigento, era il suo desiderio di denunciare lo stupro di gruppo che aveva subito due anni prima e la vergogna di essere stata filmata e di sapere che i suoi video giravano su Whatsapp.

Non ce la faceva. Non riusciva a confidarsi con nessuno. Si sentiva «vinta». Lei stessa scrive di aver cercato di reagire, ma anche dopo due anni dal fattaccio, ogni giorno tutto le si ripresentava, nitido, davanti agli occhi, nel suo cuore di adolescente ferita letalmente. Non trovava il coraggio di denunciarlo. Due giovani, tra cui l'ex fidanzato, dei quattro che la stuprarono a turno, sono stati rinviati a giudizio dal giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Palermo, Marco Gaeta, con le accuse di violenza sessuale di gruppo e produzione di materiale pedopornografico. La prima udienza è fissata per il 4 dicembre dinanzi ai giudici della prima sezione penale presieduta da Alfonso Malato.

I genitori della ragazza, assistiti dall'avvocato Santina Nora Campo, si sono costituiti parte civile e si sono associati alla richiesta della procura di disporre il rinvio a giudizio. I difensori dei due imputati, gli avvocati Daniela Posante e Antonio Provenzani, avevano chiesto al giudice di emettere una sentenza di non luogo a procedere. Per gli altri due è stato chiesto il rinvio a giudizio e l'udienza preliminare si terrà martedì. Quel maledetto giorno erano in quattro, tra cui due minorenni. Alice li conosceva, erano suoi amici, usciva abitualmente con loro e con uno aveva avuto una storia. Secondo i pm di Palermo, Luisa Bettiol e Giulia Amodeo, gli aguzzini avrebbero abusato delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della giovane «legata al consumo di sostanze alcoliche». Alice tenta di svincolarsi. Dice no chiaramente: «Non voglio», «non posso», «mi uccido». Ma loro non si fermano, le intimano di stare ferma. Hanno paura, dopo il suicidio, ma nessuno parla. È la squadra mobile di Agrigento a scoprire il segreto di cui parla Alice nella straziante lettera affidata a Facebook, la violenza sessuale di gruppo avvenuta due anni prima del suicidio.

Intercettano e acquisiscono alcuni video inequivocabili girati proprio dai quattro giovani. «Quello che mi è successo non poteva essere detto, io non potevo scriveva Alice su Facebook - Ho provato a conviverci e in alcuni momenti ci riuscivo così bene che me ne fregavo, ma dimenticarlo mai.

E allora ho pensato Perché devo sopportare tutti i momenti no, che pur fregandomene, sono abbastanza stressanti, se anche quando tutto va bene e come dico io, il mio pensiero è sempre là? Non sono una persona che molla, una persona debole, io sono prepotente, voglio cadere sempre in piedi e voglio sempre averla vinta, ma questa volta non posso lottare, perché non potrò averla vinta mai, come però non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così...». Il grido di aiuto di Alice è stato ascoltato e la giustizia sta facendo il suo corso.

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