Politica

La lite sulla Giustizia ha lasciato il segno. Così Draghi sceglie un profilo più politico e guarda al 2023

Sulla riforma Cartabia i media hanno veicolato solo la linea Conte e con il M5s si è sfiorata la rottura Di qui l'approccio più inclusivo con ministri e partiti (elogiati per la prima volta). Sul Colle: «Decide il Parlamento». Ma il premier si vede a Palazzo Chigi

La lite sulla Giustizia ha lasciato il segno. Così Draghi sceglie un profilo più politico e guarda al 2023

di Adalberto Signore

In quel di Palazzo Chigi la guerra delle ultime settimane sulla riforma della Giustizia ha lasciato il segno. Troppo alta la tensione tra i partiti e quasi fuori controllo il tasso di conflittualità tra i ministri della maggioranza. Il tutto anche grazie a un M5s che non ha avuto esitazioni a veicolare sui media ripetute minacce di far saltare il banco. Uno scenario, in verità, che avrebbe invece contemplato proprio Mario Draghi, arrivato a ipotizzare con il Colle un passo indietro davanti al muro alzato da Giuseppe Conte e da alcuni ministri grillini. Alla fine, l'ex numero uno della Bce è riuscito a trovare un punto di caduta e contemperare gli interessi di tutti. Ma è stato molto più complicato del previsto. Con una chiara percezione anche all'esterno della difficoltà del passaggio. Così, il premier ha in qualche modo deciso di far tesoro di quanto accaduto e ha voluto chiudere l'ultimo giorno di scuola prima della pausa estiva scegliendo toni volutamente più ecumenici. Con tutti i suoi interlocutori, come vuole la buona regola del politico navigato.

Così, se giovedì si era congedato dal Consiglio dei ministri ringraziando per «il lavoro svolto in questi sei mesi» sia «i ministri» che «il sottosegretario Roberto Garofoli» che ha la delega all'Attuazione del programma, ieri mattina il premier ha avuto parole di elogio per i partiti. Tutti i partiti. Che - «sembra strano», si è lasciato scappare con un pizzico di ironia - «guardano ai risultati esattamente come faccio io», con pragmatismo. Insomma, anche loro «lavorano per il bene degli italiani» e «non esistono contrapposizioni» tra «questo governo, il presidente del Consiglio» e i partiti. D'altra parte, aggiunge, questo esecutivo «vive» perché «c'è il Parlamento».

Un modo per coinvolgere la politica nei risultati che Draghi rivendica per questi primi sei mesi a Palazzo Chigi, a partire dall'economia italiana che «oggi cresce molto più velocemente di quanto prevedesse lo stesso Def e si prospetta un'espansione ben oltre il 5%». E l'ex banchiere centrale ringrazia anche i giornalisti, che incontra di prima mattina per un saluto - solo per alcuni a sorpresa - prima della pausa estiva. Da domani e per le prossime due settimane, infatti, non sono previsti Consigli dei ministri e - a meno di urgenze - Draghi, come sua abitudine, ha intenzione di tirare il fiato per 15 giorni in Umbria, a Città delle Pieve.

Un premier, dunque, che si congeda per le vacanze con un approccio decisamente più politico rispetto a quando, solo sei mesi fa, è entrato a Palazzo Chigi. Lasciando nei più l'impressione di un presidente del Consiglio che non ritiene affatto concluso il suo lavoro. E che, per la prima volta da quando si è insediato, ha parole di pubblico elogio per i partiti della maggioranza. A domanda esplicita sull'orizzonte del suo governo, poi, Draghi si limita a dire che «è nelle mani del Parlamento». Ma subito dopo ci tiene a fissare l'agenda dei prossimi mesi: fisco, concorrenza, lavoro e diritti saranno i temi caldi di settembre. Quando, dice, il governo dovrà mettere in campo «la stessa determinazione» per «affrontare le sfide» e «le risposte» che «dobbiamo dare a problemi urgenti e gravi». E ancora: «Molto è stato fatto, ma molto c'è da fare».

Insomma, nonostante i rumors su un possibile passaggio di consegne tra Sergio Mattarella e Draghi, la convinzione dei più è che il premier continui a immaginarsi a Palazzo Chigi. Almeno fino alla fine della legislatura, cioè nel 2023. Così non fosse, peraltro, il rischio di un governo sull'ottovolante è più che concreto. Se Draghi andasse al Quirinale, i due candidati al suo posto sarebbero o il titolare dell'Economia Daniele Franco (soprannominato da alcuni suoi collaboratori «Alexa», in onore dell'assistente vocale di Amazon che risolve tutti i problemi) o il ministro più anziano, cioè il titolare della Pubblica amministrazione Renato Brunetta.

Due profili di tutto rispetto ma che, evidentemente, farebbero fatica a tenere insieme una maggioranza così larga e, soprattutto, tanto conflittuale.

Commenti