La frase dell'avvocato Wania Della Vigna è un modello di correttezza, ma proietta ombre per nulla rassicuranti: «Massimo rispetto per il tempo della Procura, ma comincio a preoccuparmi anche dei tempi di prescrizione».
Una manciata di parole che fanno riflettere.
Lei è il legale della famiglia di Sara Angelozzi, una delle 29 vittime della tragedia dell'Hotel Rigopiano-Gran Sasso Resort & SPA, travolto la sera del 18 gennaio 2017 da una valanga. Ma anche da una slavina di gravissime responsabilità che sono ancora «in corso di accertamento».
«Restiamo in fiduciosa attesa - ha dichiarato l'avvocato all'Agi - che le indagini vengano concluse e che vengano portati a giudizio coloro sui quali grava con nesso causale la responsabilità dei morti e di coloro che hanno subito le lesioni». Nella vicenda sono indagate, a vario titolo, dalla Procura di Pescara ben 23 persone. «L'indagine - prosegue il legale - è stata portata avanti in maniera esemplare, perché è stata condotta a 360 gradi cercando di individuare sia tutti gli elementi, tutte le persone e le istituzioni che dovevano valutare sia il rischio neve, sia la storia dell'edificio e, quindi, della costruzione.
A novembre 2017 ci sono stati gli avvisi di garanzia, ci aspettiamo che entro quest'anno ci siano sviluppi, salvaguardando i tempi di prescrizione dei vari reati. La prescrizione sui reati colposi (come quelli contestati appunto a tutti gli indagati della strage di Rigopiano ndr) è una scure che rimane sempre in agguato».
Intanto a una conclusione la magistratura è già arrivata. Ed è una decisione che - se forse inappuntabile sotto il profilo giuridico - lascia comunque l'amaro in bocca (per non dire tanta rabbia) sul piano morale.
È stato sancito infatti che quella frase («La madre degli imbecilli è sempre incinta») pronunciata in Prefettura da una funzionaria la notte della tragedia, «non costituisce reato». Insomma, la funzionaria che si prese gioco dell'uomo che aveva lanciato l'allarme, operò «in buona fede». E quindi - pur rappresentando plasticamente la sottovalutazione dell'allarme valanga -, la donna è rimasta fuori dall'inchiesta. Non così per le altre 23 persone accusati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Nella tragedia dell'hotel Rigopiano i superstiti furono undici.
Il 18 gennaio dello scorso anno la neve caduta era stata tanta, ma è anche vero che la turbina predisposta per l'area di Farindola, di proprietà della Provincia, era ferma in officina dal 6 gennaio perché «non si trovavano i pezzi di ricambio».
Nonostante ciò, ancora il 17 gennaio, nel pomeriggio, una pattuglia della polizia provinciale aveva scortato otto macchine di clienti fino all'albergo, «benché le condizioni meteo sconsigliassero la salita».
Condizioni tali che, secondo i magistrati, avrebbero dovuto indurre il sindaco a emettere un'ordinanza di sgombero dell'hotel per «pericolo incombente» uno o due giorni prima del 18 gennaio.
Il sindaco poteva farlo, visto che aveva aperto un Coc (Centro operativo comunale) già il 15 per gestire l'emergenza neve; inoltre dovrà anche rispondere del perché durante il suo mandato non ha mai convocato la commissione valanghe, «nonostante dalla Prefettura ne indicassero l'utilità».
Insomma, i fronti sono diversi: l'emergenza neve di quella sera maledetta fu sottovalutata; la richiesta di soccorsi venne inizialmente ignorata; l'hotel non era sicuro in quanto costruito contravvenendo a una serie di divieti.
Peccato che tutto questo gli ospiti del resort ai piedi della montagna non potevano saperlo.
Ora i loro familiari chiedono che i colpevoli paghino. Ma la macchina della legge è lenta. Se però, alla fine, la giustizia arriverà, sarà valsa la pena attendere. Nel caso invece qualcuno venga salvato dalla prescrizione, sarà una vergogna. Per tutta l'Italia.
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