Roma - Come «operazione trasparenza» non c'è male. Quando a febbraio scorso il Campidoglio di Ignazio Marino, reduce dalle scosse di Mafia Capitale, decise di mettere in vendita una buona fetta del suo patrimonio immobiliare, si scatenarono le polemiche. Per la mancanza di trasparenza (il primo elenco non riportava nemmeno i nomi degli assegnatari) e per la «storica» malagestione di quell'asset, affittato a canoni ridicoli, oberato da morosità e capace di produrre un reddito per le casse capitoline inferiore ai 2 milioni annui, contro i 27 milioni di euro che avrebbe fruttato se affittato a prezzi di mercato.
A seguito delle polemiche l'assessore al Patrimonio Alessandra Cattoi accettò controvoglia di comunicare i nomi degli inquilini. Ma un buon 10 per cento dei fortunati assegnatari restò ignoto, sollevando altri dubbi su quali nomi si nascondessero dietro i vuoti.
Il lavoro delle opposizioni permise di «correggere» l'asta prima dell'approvazione in consiglio, a fine febbraio, della delibera di alienazione, eliminando gli «sconti» inizialmente previsti anche per gli immobili di pregio, i gioielli piazzati nei più begli angoli del centro storico della Città Eterna. Restò invece la possibilità per gli inquilini anche se morosi da anni di mantenere il diritto di prelazione all'acquisto, una volta versati i canoni mancanti. Una «vergogna» per il capogruppo della Lista Marchini, Alessandro Onorato, che tentò invano di opporsi alla possibilità che chi aveva abitato a sbafo nelle case del Campidoglio potesse «blindare» anche questo privilegio.
Ben più trionfanti i toni del sindaco. Marino, all'indomani del via libera alla delibera di vendita dei 600 immobili, annunciò la «fine» di «una gestione non redditizia e opaca di una ricchezza che non rientra nelle finalità di diretta competenza di un Comune, come la gestione di un patrimonio immobiliare», e pazienza se per due anni quella gestione pietosamente definita «non redditizia» era stata a cura della sua giunta. I 308 milioni di euro preventivati come incasso dell'asta sembravano sufficienti a giustificare la svendita.
Se le premesse sono state queste, il primo atto dell'alienazione ne è stato all'altezza. Nel nome della decantata «trasparenza», il sindaco e il suo assessore a inizio luglio fissano l'asta dei primi 35 immobili al 10 agosto. Tutto in estate, con la città deserta e dando all'incanto pubblico - nella settimana di Ferragosto - la minima pubblicità possibile. Zero manifesti, poche righe sul sito web del dipartimento e una data così: un combinato disposto che ha sventato la folla delle grandi occasioni e i relativi incassi da capogiro. Infatti all'asta c'erano quattro gatti, e dei 35 lotti ne sono stati aggiudicati 6, frutto di 13 offerte. Tra i gioielli invenduti anche l'Hotel Richmond, un quattro stelle ai Fori Imperiali con 13 stanze, messo all'asta per 3.9 milioni di euro. Invano. Così il Comune ha incassato solo 2,6 milioni di euro, contro un ricavo stimato di quasi 17 milioni. Metà dei lotti venduti sono stati comprati da imprenditori cinesi. Mentre l'appartamento più prestigioso - 114 metri quadri in piazza Navona, in un palazzo dove stranamente già fervono lavori di ristrutturazione - se l'è assicurato un'italiana. In assenza di concorrenti, s'è aggiudicata la casa con un rialzo di soli 28mila euro sulla base d'asta.
Non male, come primo
passo della svendita. Tanto che proprio Onorato, perplesso dall'asta fantasma agostana, chiede a Marino e all'assessore Alessandra Cattoi «cosa ci sia dietro una scelta così folle che va contro gli interessi dei cittadini».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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