Svimez certifica il flop Il reddito di cittadinanza è il nemico del lavoro

L'istituto stronca il sussidio: «Il Meridione così è condannato all'assistenzialismo»

Svimez certifica il flop Il reddito di cittadinanza è il nemico del lavoro

Il reddito di cittadinanza ha avuto un impatto nullo sul lavoro: la povertà non si combatte solo con un contributo monetario, occorre ridefinire le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza. È l'analisi dello Svimez, l'istituto per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno che ieri ha diffuso il Rapporto 2019 nel quale si spiega che il sussidio introdotto dai pentastellati sul mercato del lavoro è pressoché zero in quanto la misura, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro.

La bocciatura è duplice. Da un lato, come è stato enunciato, la misura non favorisce l'inserimento nel mondo dell'occupazione anche per mancanza di percorsi formativi. Dall'altro lato, il reddito di cittadinanza come beneficio a favore dei meno abbienti tende ad abbandonare il Meridione all'assistenzialismo. «Identificare la misura come una politica per il Mezzogiorno è scorretto - si legge nel rapporto - perché si basa sulla dannosa semplificazione che vorrebbe dividere il Paese nei due blocchi contrapposti e indipendenti di un Nord-produttivo e un Sud-assistito».

«Il reddito di cittadinanza va valutato non su un lasso temporale così breve ma in un periodo molto più lungo», ha commentato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che partecipato alla presentazione. «Sicuramente va implementato nella fase attuativa, quindi è importante lavorare a quelli che sono i capitoli più complessi di questa riforma, cioè occupazione e formazione. Dobbiamo lavorare tanto su questo versante e la ministra del Lavoro Catalfo ci sta lavorando», ha aggiunto. «Svimez conferma gli errori dei governi Conte. Ai giovani del Mezzogiorno non serviva il reddito di cittadinanza ma il lavoro», ha scritto su Twitter il vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani, sottolineando «una crisi occupazionale con preoccupanti risvolti demografici. L'istituto ha infatti evidenziato che nei prossimi 50 anni il Sud rischia di perdere 5 milioni di persone». La crisi ha accentuato il declino delle Regioni più povere del Paese: dal 2000 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre due milioni di persone delle quali la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto con un titolo universitario. Il futuro si preannuncia peggiore: secondo le previsioni dell'istituto di ricerca, entro i prossimi 50 anni il Sud perderà 5 milioni di persone, soprattutto giovani istruiti, e infatti la desertificazione di questa parte del Paese si tradurrà in un arretramento del 40 per cento del Pil.

E anche la situazione presente è tutt'altro che rosea. Nel 2019 il Sud sarà in recessione: Svimez stima una contrazione del Pil dello 0,2% a fronte del +0,2% previsto per l'Italia. La produttività è stagnante nell'industria e nel terziario, mentre nell'agricoltura è addirittura in diminuzione. L'unica felice eccezione continua a essere rappresentata dalla Puglia che, nonostante la crisi dell'Ilva, ha visto il proprio Pil aumentare dell'1,3% nel 2018 (+0,9% il dato nazionale) con una dinamica occupazionale che evidenzia un continuo progresso.

Occorre tornare a una visione unitaria della stagnazione

italiana, conclude lo Svimez, smarcandosi dalla dialettica Nord-Sud. È necessario un piano di investimenti per rendere l'intero Paese competitivo rispetto ad altre Regioni europee, un tempo depresse e ora più attrattive.

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