Tav, il "no" dei 5 Stelle spaventa le imprese Maxi appalto congelato, a rischio 2 miliardi

Grillo aveva detto: è roba del secolo scorso. E i manager si adeguano

Tav,  il "no" dei 5 Stelle spaventa le imprese  Maxi appalto congelato, a rischio 2 miliardi

Roma Di non congelata, di sicuro, c'è la posizione dei Cinque Stelle sulla questione Tav. Caldissima. Divisa tra l'animo di lotta e quello di governo, tra le esternazioni del Garante, contrario, e l'alleato leghista, invece favorevole al completamento dell'opera. Alla fine potrebbe spuntare una soluzione di compromesso: qualche cambiamento al progetto, necessario a tenere buona la base dei Cinque stelle. Molto dipende dagli effetti collaterali della riapertura del dossier. Ieri la Stampa ha dato notizia che la Telt, Tunnel Euralpin Lyon Turin, le cui azioni sono divise equamente tra Stato francese e Ferrovie dello Stato italiane, avrebbe deciso di alzare il piede dall'acceleratore per non costringere M5s a fare i conti con i propri imbarazzi sul tema. Congelando, appunto, il primo maxiappalto per la realizzazione del tunnel di base della Torino-Lione, lungo quasi 60 chilometri. La gara internazionale doveva partire in questi giorni. Ma la Telt avrebbe scelto di rimandarla per non costringere i pentastellati, divisi sul punto, a stringere i tempi.

La società, peraltro, nel pomeriggio ha invece confermato, con una nota ufficiale, il timing previsto. «Il bando per lo scavo del tunnel di base sul versante francese, del valore di circa 2 miliardi di euro, è previsto da planning entro l'estate». Il tutto, insomma, «come da programma concordato con l'Unione europea dai due Stati». Insomma, certezze poche, se non quella della spaccatura sul punto delle anime del Movimento. Con Beppe Grillo che, ancora domenica scorsa, tuonava contro l'opera, «che appartiene allo scorso secolo, al passato, che rappresenta un mondo che non c'è più, un modo di fare economia e creare posti di lavoro che non ha più senso». E la linea del capo, che mette a rischio miliardi di euro, viene ripresa dal vicepremier, Di Maio, che due giorni fa si riappella al «programma», dove della Torino-Lione si parla di striscio, per dire che va «ridiscussa». Così il leader pentastellato ribadisce che «nel contratto di governo con la Lega abbiamo concordato che quell'opera va integralmente ridiscussa», perché «è un'opera progettata 30 anni fa». Un punto sul quale la Telt si sente chiamata a precisare che il progetto attuale risale al 2011, dunque a meno di sette anni, che non sono proprio 30. E se da Torino il presidente della Regione Sergio Chiamparino propone un referendum in caso di stop dal governo, e lo stesso Di Maio si dice pronto ad andare alle urne, ieri sul tema è tornato proprio il ministro responsabile per l'opera, Toninelli. Accettando il referendum, e ribadendo l'esigenza di «ridiscutere integralmente» il progetto, «nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia». La chiave, secondo il titolare del Mit, è l'analisi del rapporto costi-benefici. E qui potrebbe spuntare il compromesso: una soluzione simile allo stadio della Roma, cui fu dato il via libera dopo aver concordato un taglio delle cubature.

La forbice potrebbe abbattersi ad esempio sulla stazione internazionale di Val Susa progettata dall'archistar Kengo Kuma su una superficie di dieci ettari. Una riduzione delle cubature potrebbe evitare il contenzioso con la Francia e dare un contentino all'elettorato. Ma a Roma si è finito col tagliare edifici di pregio. Ed è andata a finire, come si sa, con le manette.

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