Cronache

Terzo valico, inchiesta flop. Una sfilza di assoluzioni

Pene al di sotto delle richieste per pochi imputati. Escono di scena Salini, Monorchio e Incalza

Terzo valico, inchiesta flop. Una sfilza di assoluzioni

I lavori per il Terzo Valico, la ferrovia ad Alta Velocità che un giorno collegherà Milano e Genova, dopo dodici anni dal via sono fermi a metà strada. Nel frattempo la grande opera varata nel 2005 dal governo Berlusconi ha fatto in tempo a finire nel mirino della magistratura, a venire indicata come un altro colossale esempio di italica corruzione, a vedere manager pubblici e privati arrestati e incriminati per un valzer di tangenti ed escort. Ieri arriva la sentenza. E l'inchiesta iniziata con la grande retata del 26 ottobre 2016 si sgonfia quasi del tutto. Alle ventisette condanne chieste dalla Procura di Genova il tribunale, al temine di tre anni di processo, risponde con venti assoluzioni. I pochi imputati ritenuti colpevoli si vedono infliggere pene al di sotto delle richieste dell'accusa. Un flop, insomma, arrivato però dopo sei anni la clamorosa retata. L'esito a dire a Matteo Renzi: «Anche oggi uno scandalo che riguarda le infrastrutture in Italia finisce con un'assoluzione. Qualche giustizialista chiederà scusa almeno oggi?».

Tra gli assolti con formula piena ci sono big come Pietro Salini, numero uno di WeBuild, la ex Impregilo, e Ercole Incalza, superdirigente del ministero delle Infrastrutture fino al 2015 quando era finito in carcere per una inchiesta della Procura di Firenze, finita anch'essa in nulla. «Per Incalza è la sedicesima assoluzione», sottolinea il suo avvocato Nicola Madia. Tra gli assolti anche l'ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio: anche il suo coinvolgimento aveva contribuito a tenere alto il clamore mediatico dell'inchiesta della Procura ligure. Il figlio di Monorchio, Giandomenico, è invece nella corta lista dei condannati: un anno e tre mesi.

La retata genovese era scattata in contemporanea con un'operazione analoga della Procura di Roma, anche lì c'erano nel mirino grandi opere ferroviarie e in parte gli stessi indagati. Il filone romano, dopo essere approdato a processo, si è sfilacciato qua e là per competenza territoriale, poi è tornato nella Capitale dove viaggia mestamente verso la prescrizione. Il troncone genovese invece ha impiegato tre anni per approdare a processo, e altri tre per la sentenza che ieri lo azzera.

Eppure tutto era partito con grande impatto, con gli inquirenti che si dicevano sicuri di avere scoperchiato un malaffare in corso da tempo. A colorare la vicenda, dalle carte era emersa l'accusa ai manager di due aziende interessate agli appalti, la Europea 92 e la Cipa, di avere conquistato la gara per la galleria «Vecchie Fornaci» non solo con mazzette in contanti ma anche offrendo a Giulo Frulloni, del consorzio appaltatore Cociv, la piacevole compagnia di una escort. Nel luglio successivo una ex modella era stata interrogata proprio su questo punto, e aveva avuto il dispiacere di vedere il suo nome sui giornali collegato alla imbarazzante vicenda.

C'era di tutto, insomma, per fare del processo «Terzo Valico» un caso di scuola di corruzione. Durante le udienze una serie di incongruenze venute a galla nella ricostruzione dell'accusa non avevano impedito ai pm Paola Calleri e Francesco Cardona di chiedere la condanna dei ventisette imputati, essendo emersa la prova che le gare venivano truccate «costantemente».

I giudici sono stati di diverso avviso.

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