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Con il tesoretto accantonato dai boss si potrebbe saldare il debito pubblico

Nei forzieri delle mafie ci sarebbero tremila miliardi di euro

Con il tesoretto accantonato dai boss si potrebbe saldare il debito pubblico

Nei forzieri delle mafie c'è un tesoretto. Se con una bacchetta magica si riuscisse a trasferirlo nei conti pubblici, il nostro debito monstre di 2.600 miliardi sparirebbe d'incanto. Anzi, resterebbe anche un bel gruzzoletto per tagliare le tasse e rilanciare le infrastrutture. Sono i calcoli della Fondazione che porta il nome di Antonino Caponnetto, nume tutelare e mentore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. «Siamo di fronte a un'Italia divorata dalla mafia», ha detto il presidente della Fondazione Salvatore Calleri, come scrive Michele Inserra sul Quotidiano del Sud di ieri, che ha calcolato in 3mila miliardi i soldi nascosti dalla criminalità organizzata.

Quando si discute di lotta alle mafie, ci si impicca al boss che vota a destra o a sinistra, come se a loro interessasse davvero. Mafia, camorra e 'ndrangheta stanno con chi vince, annusano il vento, si muovono sottotraccia per tutto l'arco istituzionale, grillini compresi. Spesso ci si dimentica il cuore del problema, travolti dalle polemiche interne alla magistratura. Come è successo dopo le parole del Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, a difesa delle sue inchieste e sulla più volte evocata questione morale dentro la magistratura calabrese e nazionale - una materia su cui il Csm non potrà certamente sottrarsi neppure dopo la replica di Gratteri («Convinti dalle indagini della bontà delle nostre richieste»). Questo Paese è inchiodato al palo dal malaffare che ogni anno drena risorse pubbliche e private, ma è altrettanto vero che una parte di questi soldi viene immesso nuovamente sul mercato. Basti pensare all'imprenditore che si vantava di poter riciclare 500 miliardi di euro con qualche clic da un conto in Afghanistan a uno in Danimarca. Soldi da spendere attraverso operazioni speculative come gli 'ndrangheta bond scoperti quest'estate dal Financial Times, investimenti immobiliari, creazioni di nuove imprese per rilevare ristoranti e negozi, fiaccati dalle strampalate misure anti Covid e ingolositi dal contante di cui dispongono i faccendieri delle cosche, che in questi mesi stanno andando su e giù per lo Stivale. Una sorta di Prodotto interno sporco, di cui lo Stato beneficia perché una piccola parte finisce nelle casse pubbliche. E che crea welfare parallelo in alcune zone del Paese (anche in Europa) che impedisce al disagio di scoppiare con fragore. Non stupisce che alcuni politici locali treschino con imprenditori in odore di mafia. Il cuore del problema è l'impatto che l'economia sommersa ha sulla pace sociale, l'unica cosa che ai nostri governanti interessa davvero. I 3mila miliardi potrebbero saldare il nostro debito pubblico, ma a che prezzo? Se il Sud non esplode è perché - come dice la Dia - i boss tengono la rabbia al guinzaglio. Un guinzaglio fatto di lavoro nero, corruzione, favori. Se lo Stato funzionasse, se il disagio avesse delle risposte, i boss farebbero la fame.

Poi si dovrebbe discutere dei tempi biblici della giustizia, dei processi monstre con centinaia di imputati, delle ordinanze di migliaia di pagine di riscontri, intercettazioni e ricostruzioni che friggono i pesci piccoli nella stesso olio nel quale si sciolgono le carriere dei politici, corrotti e no.

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