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Il timore di irritare Brasile e Usa: così la Bolivia ce l'ha ceduto

Il timore di irritare Brasile e Usa: così la Bolivia ce l'ha ceduto

San Paolo (Brasile) - Cesare Battisti è finalmente in Italia ma ha lasciato dietro di sé in America Latina una scia di polemiche che potrebbero causare terremoti politici, tanto più che in Bolivia tra una settimana si rinnova il gabinetto dei ministri di Evo Morales. E così, spente le telecamere dei cronisti accorsi da mezzo mondo, si accendono adesso gli scontri sul perché Morales, corifeo del socialismo boliviano nonché grande amico di Lula, abbia dato l'ok all'espulsione di Battisti. «Un atto ingiusto, codardo e reazionario», questo il duro commento su Facebook di Raúl Garcia Linera, fratello del vicepresidente Alvaro Garcia Linera. «Per la prima volta mi vergogno dell'azione del governo, contraria alla morale rivoluzionaria».

Suo fratello Alvaro, per la cronaca, oltre ad essere un marxista duro e puro appartiene a quel ristretto entourage presidenziale su cui la Dea statunitense sta da tempo investigando per questioni di narcotraffico. È stato questo fronte domenica a far rischiare che salti tutto. È successo, infatti, che mentre il Falcon mandato dalle nostre autorità aspettava il terrorista dei Pac, Proletari armati per il comunismo, nello stesso aeroporto di Viru Viru sia apparso all'improvviso Jorge Paz, della Defensoria del pueblo, ovvero l'ufficio dei diritti umani che fa capo direttamente a Morales. E che ha provato in tutti i modi a impedire fino alla fine che gli italiani si portassero a casa Battisti adducendo motivi umanitari e la necessità di sentire la versione del diretto interessato. Per fortuna comunque né i nostri, né l'Interpol in Bolivia hanno dato ascolto all'uomo la cui presenza in loco ha fatto anzi accelerare i tempi di decollo. Il nostro ambasciatore in Bolivia, Placido Vigo, era riuscito a farsi firmare un decreto di espulsione tutt'altro che scontato.

Battisti il 21 dicembre scorso aveva infatti presentato richiesta per lo status di rifugiato ma gli era stato negato pochi giorni dopo, il 26 come dichiarato dal ministro degli Interni boliviano Carlos Romero: «Abbiamo così avviato un procedimento migratorio, dato che non è stato registrato alcun ingresso legale». Un'espulsione, dunque, che è stata la vittoria della Realpolitik. Morales ha accettato di consegnare Battisti per non inimicarsi il Brasile: le concessioni decennali di petrolio e gas verdeoro sono in scadenza e questo è un anno elettorale per lui. Inoltre perché rimane pur sempre il presidente del sindacato dei cocaleros, i produttori di coca. Tirarsi contro l'interesse della stampa internazionale per proteggere un terrorista avrebbe potuto creare problemi enormi al business nazionale, la coca.

Sono cadute così nel vuoto le quattro pagine che Battisti aveva allegato alla sua richiesta di asilo. «L'ex presidente Lula, dopo essere stato sicuro che la mia persona non era quel mostro che il governo italiano stava cercando di costruire con un'assurda richiesta di estradizione, mi ha concesso la residenza permanente nel 2010» dichiarava il terrorista scrittore. E ancora.

«Bolsonaro ha pubblicamente promesso che farà ogni sforzo per estradarmi, per questo mi appello al bisogno umanitario di concedermi lo status di rifugiato per garantirmi la sicurezza, libertà e vita, contribuendo in tal modo alla costruzione di una società di pace basata sulla giustizia sociale e sui principi di legittimità della ribellione sociale contro l'ingiustizia».

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