Cronaca giudiziaria

Tivoli, le sei falle del rogo dell'ospedale

L'inchiesta dal flop delle porte tagliafuoco ai mancati monitoraggi. In arrivo i primi indagati

Tivoli, le sei falle del rogo dell'ospedale

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Tre morti e quasi 200 pazienti trasferiti nei vari ospedali. Già al collasso. Il bilancio dell'incendio che ha devastato il San Giovanni Evangelista di Tivoli, e che peserà sull'intero sistema ospedaliero di Roma, è gravissimo. E mentre l'inchiesta potrebbe portare nelle prossime ore all'iscrizione nell'apposito registro dei primi indagati, i vertici della struttura e dell'Asl Roma 5, con l'accusa di omicidio plurimo colposo e incendio colposo e mentre si attendono i risultati delle autopsie sulle tre vittime e della perizia dei vigili del fuoco, che avranno accesso alla struttura una volta «freddati» anche gli ultimi focolai, è chiaro che niente ha funzionato per impedire che le fiamme da un deposito di rifiuti tossici si propagassero al pronto soccorso e da qui agli altri reparti. Certo è solo il numero dei ricoverati salvati dai pompieri, 193, oltre a un gruppetto tra medici e paramedici intrappolati dal fumo. Dalle telecamere sembra che il rogo non sia doloso. Ma sono sei i punti fermi del fascicolo aperto dal pm, secondo la legge.

Per cominciare: una struttura sanitaria deve essere compartimentata in maniera orizzontale e verticale con porte tagliafuoco REI 30-60-120, che funzionano come mezzo di protezione passiva trattenendo fiamme e fumi tossici. Ben funzionanti garantiscono per 30, 60 o 120 minuti, appunto, la struttura stessa e il calore e il fumo non si trasmettono da un ambiente all'altro. Le tagliafuoco permettono una divisione totale solo se chiuse, manualmente o in automatico quando i rilevatori di fumo avvertono un'anomalia. A Tivoli non hanno funzionato. Lasciate aperte, bloccate o «inchiodate» per mancata manutenzione? Senza contare il fattore rilevatori di fumo, fuori uso da tempo.

Secondo punto. In ogni ospedale o poliambulatorio è prevista una squadra di addetti antincendio h24 in grado di intervenire in pochi minuti. Tecnici formati e addestrati almeno 16 ore, livello III, ovvero per una struttura ad alto rischio. Non solo, questi devono aver superato un esame teorico e pratico dai vigili del fuoco. E ogni 5 anni è obbligatorio un corso teorico e pratico di aggiornamento. Dov'era questa squadra antincendio alle ore 23 di venerdì?

Terzo punto. Tutti gli ambienti devono essere monitorati di continuo con una rete di sensori, rilevatori di fumo, collegati a una centralina che, in caso di pericolo, attivi l'allarme acustico e luminoso, indichi dove è stata rilevata la criticità e chiuda le porte tagliafuoco per separare i reparti. Anche questo non è accaduto all'ospedale di Tivoli, altrimenti il primo focolaio sui rifiuti speciali non si sarebbe propagato dal livello meno 2 per i cinque piani soprastanti. Insomma, nessuna protezione orizzontale e verticale attiva.

Quattro. I dispositivi antincendio, porte, maniglioni antipanico, estintori, idranti, vanno controllati ogni sei mesi. Punto nodale per la Procura che avrebbe già chiesto il sequestro di carte e atti in direzione sanitaria.

Cinque. Una volta l'anno vanno effettuate prove di emergenza ed evacuazione.

Sei.

Il certificato antincendio va aggiornato ogni 5 anni. Era stato fatto? Se si, perché niente ha funzionato?

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