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La torre maledetta di Londra: tentati 20 suicidi dopo il rogo

Il 14 giugno l'incendio alla Grenfell fece ottanta morti. Molti sopravvissuti hanno provato a togliersi la vita

La torre maledetta di Londra: tentati 20 suicidi dopo il rogo

Londra - Sopravvivere ad una tragedia non è mai facile. Il passato ci tormenta, i ricordi tolgono il sonno, se si sono perdute delle persone care spesso ci si sente in colpa anche solo per il fatto di essere scampati al disastro. E per qualcuno la vita «dopo» diventa una pena infinita, un peso insostenibile. È così anche per alcuni dei sopravvissuti al pauroso rogo della Grenfell Tower, secondo quanto ha rivelato la fondatrice dell'organizzazione Silence of Suicide, Yvette Greenway nel corso di un programma televisivo della Bbc.

Dal momento del disastro tra chi si è salvato ci sono stati almeno venti tentativi di suicidio, un numero impressionante che fotografa la difficoltà dei tanti che non riescono a voltare pagina e a proseguire con la propria vita. La signora Greenway ha raccontato di come molti residenti non riescano a dimenticare che cosa hanno visto quel giorno, non siano capaci di togliersi dalla mente le immagini della torre che brucia, dei bambini lanciati dalle finestre nel disperato tentativo di salvarli da una morte atroce. Non riescono a cancellare le urla, le richieste di aiuto inascoltate. «Molti di loro - ha spiegato Greenway - fanno ricorso alla droga o all'alcool, la gente si sente isolata».

Il distretto di Kensington-Chelsea ha creato una rete apposita di supporto che coinvolge la comunità locale e le scuole e comprende una linea di supporto telefonico attivo 24 ore su 24 e tuttavia la gente si fida poco dei servizi di salute mentale gestiti dal Comune. «Molte persone ci hanno raccontato che gli operatori non riescono a stabilire un contatto reale con le persone - ha rivelato la fondatrice di Silence of Suicide - si limitano ad infilare qualche volantino informativo sotto la porta di casa senza neppure tentare di parlare con chi ci abita. Al momento abbiamo un numero molto alto di richieste d'aiuto da parte di chi soffre della sindrome di stress post-traumatico: depressione, ansia, autolesionismo sono tutti sintomi che si manifestano nei sopravvissuti mano a mano che questi attraversano i diversi stadi del trauma. Tutti però li vivranno in momenti diversi ed è per questo che abbiamo bisogno di un programma di supporto per la salute mentale di lungo termine che duri almeno per i prossimi trent'anni».

Judy Bolton, infermiera da più di vent'anni, si occupa di coordinare il gruppo di volontari Justice4Grenfell e ritiene che i servizi mentali vadano totalmente rivisti. «Invece di aspettare che siano i sopravvissuti a cercare aiuto - ha spiegato - è il servizio che deve andare da loro. Esistono molti fattori tra le cause di un tentato suicidio: la depressione, il senso di colpa per essere sopravvissuto, l'incapacità di affrontare la perdita di una o più persone care. E adesso non esistono supporti psichiatrici adatti ad aiutare queste persone».

La gente che non trova aiuto immediato provvede come può, tentando di cancellare dalla memoria ricordi che non riesce a gestire. Si ubriaca fino allo svenimento o si stordisce di tutti i tipi di droga perché gli spacciatori, quelli si, che sono sempre disponibili e a portata di mano. Chi non ce la fa, tenta di farla finita.

In una nota stampa il comune di Kensington ha fatto sapere che più di 800 persone sono state viste dalla squadra locale di supporto dopo l'incendio e per 330 sono stati effettuati dei controlli per la sindrome di stress post traumatico. Al 66% di queste è stata prescritta una cura.

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