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Il tracollo totale del Movimento. In Veneto è fuori: neppure un seggio

Il candidato governatore grillino non sarà al Consiglio regionale veneto: il M5S non supera lo sbarramento del 3%. A Zaia una maggioranza di 41 seggi

Il tracollo totale del Movimento. In Veneto è fuori: neppure un seggio

La sconfitta ci può stare. Ma il tracollo è un’altra cosa. Il day after le elezioni regionali, quando ormai sono chiari i governatori vincenti, l’attenzione è tutta dedicata ai voti di lista. Chi cresce, chi scende, chi scompare. E’ il caso del Movimento Cinque Stelle, che dopo aver incassato l’ennesima batosta alle amministrative, in Veneto scopre addirittura di essere stato estromesso dal Consiglio regionale. Il candidato Enrico Cappelletti non riesce a ottenere neppure il seggio per se stesso visto che il M5S non ha ottenuto il 3% dei voti necessari per superare la soglia di sbarramento.

I grillini sono andati male un po’ ovunque, e non è un caso se i vertici pentastellati (e Di Maio in particolare) da 24 ore parlano solo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Ma in Veneto il risultato è tragico. Il 2,69% raggranellato dai grillini lascerà fuori i “portavoce”, trasformando la regione in un polo a due tra centrodestra e centrosinistra. Secondo le proiezioni Zaia potrà contare su una maggioranza di 41 seggi, praticamente un regno sovrano, mentre l’opposizione dovrà accontentarsi di 8 seggi.

Il trionfo proietta Zaia nell’Olimpo dei leader italiani. Ma apre diverse questioni. La prima è quella dell’autonomia. "Questa mattina - ha ironizzato il presidente - mi ha chiamato il ministro Boccia e ho subito chiesto: mi hai chiamato per firmare l'autonomia”. Per il leghista il “percorso è tracciato”, “i tempi sono maturi” e il governo “non può non tener conto di questo grande voto”. Anche la Confindustria si è già fatta sentire, inserendo l’autonomia differenziata tra i temi “su cui focalizzarsi” nei prossimi cinque anni. Insomma: “A Roma non dormano sonni tranquilli sull'autonomia". Governo avvisato, mezzo salvato.

L’altra questione è tutta interna alla Lega. I maligni fanno notare che la lista di Zaia (44,6%) ha triplicato i voti del Carroccio (16,9%) e che rispetto al 2015 il governatore è cresciuto del 26%. Troppo estesa la vittoria per passare inosservata. Salvini però ricorda che all’interno della lista Zaia ci sono iscritti e dirigenti del partito. Il Doge conferma (“La mia lista è fatta di tutti leghisti”). E comunque entrambi assicurano di non essere affatto interessati a farsi la guerra. “È una fantasia tutta vostra”, sorride il Capitano. “Non ho mire nazionali”, gli fa eco il governatore. Certo un po’ di riflessioni interne dovranno nascere, visto il risultato. Ma Zaia oggi pensa solo al Veneto dove potrà governare con ben 33 consiglieri del suo partito o della sua lista. Un potere mai visto. Chi glielo fa fare di immischiarsi nelle beghe romane o di via Bellerio? "Io penso che i veneti abbiano apprezzato il fatto che ho ereditato una Regione bistrattata, considerata la periferia dell'impero - dice lui - Oggi, dopo dieci anni, siamo in prima fila. Non è per vanità. Questo è un voto del popolo: questo è il voto dei veneti per i veneti”. In Regione insomma si sente a casa. Impelagarsi nella guida del partito, invece, non è nelle sue corde.

Gli osservatori non mancheranno di analizzare con il lanternino il voto veneto. Perché ha vinto Zaia? E perché con così tanto distacco? A chi sostiene che sia l'effetto dell'esposizione mediatica conquistata con il coronavirus, il Doge risponde irritato: "Lo trovo riduttivo e anche offensivo nei confronti dei veneti". Non è neppure merito di Crisanti, come invece lui rivendica. La risposta in realtà srebbe anche banale: quello di ieri è un risultato che premia chi ha amministrato (bene) la Regione, e non solo in ambito sanitario. L’attenzione allora andrebbe forse rivolta a chi non ce l’ha fatta, come Italia Viva (simbolo assente) e il Movimento, che ora in una delle regioni più ricche ed operose d’Italia non potrà neppure toccare palla.

Per i prossimi cinque anni.

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