Immigrazione, vitalizi, Rai. A Roberto Fico, presidente della Camera, non sfugge mai l'occasione di dire la sua. Sempre attraverso un linguaggio istituzionale, super partes e compassato, il grillino «ortodosso» è diventato la goccia che scava la pietra delle contraddizioni del Movimento. Mettendo pressione a Luigi Di Maio, mai così in difficoltà come adesso, dopo le prime mosse del governo del cambiamento. Un crollo del sentimento certificato anche dagli indici di gradimento dei leader. Secondo l'ultima rilevazione di Ixè, il capo politico del M5s si piazza quarto, all'inseguimento di Conte, Salvini e Gentiloni. Fico, invece, basta annusare l'umore politico di questi giorni, miete consensi a sinistra. Goccia dopo goccia. Dalla visita alla baraccopoli calabrese di San Ferdinando, teatro dell'omicidio del sindacalista migrante Soumalia Sacko, all'incontro con Medici Senza Frontiere e alle minacce di multe a Orban, fino alla reprimenda, andata in scena nell'aula di Montecitorio, nei confronti del deputato di Fratelli d'Italia Andrea Delmastro Delle Vedove, reo di aver definito «pacchia» la vita degli immigrati in Italia. «I migranti non fanno la pacchia» lo ha rimproverato Fico. Che con questa ennesima mossa si è guadagnato la stima della sinistra, parlamentare e non. Dei militanti del Pd sui social, come degli onorevoli.
Il gruppo dei parlamentari più vicini al presidente della Camera vede Salvini come il fumo negli occhi. Alla stregua di un avversario da contrastare, non di un alleato o comunque di un contraente del patto di governo tra il M5s e la Lega. Per questo motivo, se il segretario della Lega dice una cosa, ecco che Fico dice l'opposto. Un altro esempio è il dossier Rai: il ministro dell'Interno parla di Tg «degli anni '20 e '30», l'ex presidente della commissione di Vigilanza risponde, senza citare il duellante: «I partiti devono rimanere fuori dalla Rai». La strategia dell'ortodosso, all'interno del Movimento, sta pagando. Con Di Maio messo sotto accusa dai suoi, e i retroscena che parlano di una raccolta firme per ridimensionare il ruolo del capo politico. Va stretto il doppio incarico, politico e ministeriale di Di Maio. «Superministro» e numero uno pentastellato. Perciò si continua a vociferare di un ritorno del «Direttorio», che stavolta deve essere composto rispettando gli equilibri interni. Beppe Grillo sta spingendo per l'ingresso della sua nuova pupilla Carla Ruocco, strategicamente rimasta fuori da ruoli di governo, ma eletta presidente della Commissione Finanze alla Camera.
Da Montecitorio partirà l'offensiva del Movimento Cinque Stelle sui vitalizi degli ex parlamentari. Sul tema Di Maio ha rilanciato: «La delibera è sul tavolo di Fico» e ha annunciato la creazione di un fondo in cui far confluire i soldi ricavati dal taglio dei vitalizi e delle cosiddette pensioni d'oro, per destinare i risparmi ai pensionati titolari di pensione minima. Questa fuga in avanti si può leggere attraverso lo spartito della competizione interna. Fico, in quanto presidente della Camera, si intesterebbe in prima persona l'operazione-vitalizi.
Che, come sussurra più di qualcuno, tra i cavalli di battaglia dei Cinque Stelle è l'unica proposta di realizzazione abbastanza facile. Più complicate sono le misure su welfare e imprese, in primis il reddito di cittadinanza. Proprio le battaglie che tocca vincere a Di Maio, alla testa del suo scomodo mega ministero.
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