La trincea di Herat, dove i soldati tutelano la pace

Un viaggio tra le truppe in Afghanistan che combattono contro il terrorismo

La trincea di Herat, dove i soldati tutelano la pace

Herat (Afghanistan) Tutto intorno alla base è silenzio e gli unici rumori che si sentono sono quelli degli elicotteri e degli aerei militari in decollo e in atterraggio dall'aeroporto di Herat. Piazza Italia è già pronta per festeggiare il 4 novembre. La missione in Afghanistan è cambiata. Sono lontani i tempi in cui l'Isaf (International security assistance force) garantiva la sicurezza del Paese con oltre 4mila unità e in cui questa terra mieteva morti. Anche se a Kabul, Adraskan o nelle regioni più calde di una nazione ancora tenuta sotto scacco dai talebani, gli attentatori continuano a mietere vittime.

Le elezioni di fine ottobre hanno reso bollente il clima, nonostante il freddo si faccia sentire. Eppure qui gli 800 militari italiani (900 in totale dislocati in Afghanistan) che lavorano per la missione Rs (Resolute support), non rinunciano a festeggiare il giorno dell'unità nazionale e delle forze armate. Stamani, alla presenza di numerose autorità afghane e del comandante del settore Taac West, ossia della regione ovest, generale Francesco Bruno, che è al vertice del territorio in cui operano i militari della Pinerolo, rischierati in base, si celebrerà il 4 novembre. Sarà apposta una corona al monumento che ricorda i caduti italiani in questa terra (53 militari e una cooperante), per commemorare chi è morto in nome di una pace non ancora arrivata.

A distanza di quattro anni dalla transition non si esce più come un tempo. Non ci sono più gli Amx dell'Aeronautica a bombardare le antenne talebane, non si va più in prima linea, ma il compito dei nostri militari è diverso. Le funzioni principali della missione Rs, oggi, sono di supporto alla pianificazione, programmazione, affidabilità e vigilanza in ottica anticorruzione, di supportare l'aderenza ai principi dello stato di diritto e di buon governo, di sostenere e accompagnare i processi quali arruolamento, addestramento, gestione e crescita del personale, anche tramite fornitura di materiali ed equipaggiamenti. Ma anche l'intelligence e la comunicazione strategica sono importanti. In Afghanistan, infatti, lo spionaggio e il terrorismo fanno ancora paura e ancora esistono cellule pronte a realizzare ordigni pronti a esplodere al passaggio delle forze armate e di polizia afghane, ma anche dei militari della Nato e di altri Paesi che con essa collaborano, ancora presenti. Oggi proprio la Nato ha 16mila militari presenti, a fronte dei 100mila un tempo dislocati su tutto il territorio. Un numero ridotto, ma che fa capire che ancora non si pensa di abbandonare questi territori. L'Italia dà ancora un contributo importante, nonostante il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, abbia annunciato una riduzione a partire già dai prossimi giorni. La parte più importante è costituita dal training, advising e assisting, ovvero dall'addestramento, dalla consulenza e dall'assistenza alle forze di sicurezza afghane, che avranno il compito, in futuro, di arrivare al totale auto sostentamento. Rispetto al 2014 a Herat si respira un'aria diversa. Le misure di sicurezza sono state innalzate e ogni mezzo o uomo in entrata o uscita dalla base viene controllato a vista.

Tutti i giorni, come anche in questo 4 novembre in cui, anche a distanza di 6.500 chilometri dall'Italia, si trova la forza di festeggiare l'unità nazionale e le forze armate e sentirsi più fratelli e un po' più vicini a casa.

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