La trovata elettorale di Poletti: stipendio minimo per i poveri

Il ministro del Lavoro s'inventa il reddito da 320 euro per le famiglie indigenti. Ma la copertura non c'è. E pure i sindacati sono perplessi

U n quasi-reddito minimo da 320 euro al mese per le famiglie di quattro persone. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti dalle pagine di Repubblica annuncia una misura, che in realtà non è una novità, ma presentata in termini che non stonerebbero in una campagna elettorale. Slogan da spendere in campagna elettorale, se non fosse per le coperture, da trovare di volta in volta. Anche attraverso tasse. Si chiama «reddito di inclusione sociale» calcolato in 320 euro mensili a favore dei cittadini che vivono in condizioni di povertà e che «avrà una durata permanente». Strumento per «chi è in situazioni di povertà», ha spiegato il ministro, per differenziarlo dal reddito di cittadinanza del Movimento cinque stelle. Più tardi lo stesso Poletti ha precisato che si tratta dell'allargamento della platea del vecchio Sia, sostegno di inclusione attiva attivato nelle principali città italiane dal 2015. Con risultati da verificare. Saranno aggiornati i requisiti e riguarderà comunque una platea delimitata di famiglie almeno all'inizio. Il Sia riguarda nuclei con figli e un Isee inferiore ai 3.000 euro all'anno. Nella nuova versione dovrebbe essere previsto un tetto a 400 euro nel caso di famiglia con minori con 5 componenti o più. L'obiettivo è di estendere la misura a tutte le famiglie con minori in povertà assoluta. Con conseguenze sui costi, destinati a lievitare se di deciderà veramente di farne una misura permanente e universale. Al momento ci sono i 600 milioni di euro stanziati dalla legge di Stabilità. Nel 2017 la cifra dovrebbe raggiungere il miliardo. Se si dovessero finanziare misure per tutti i poveri, secondo una stima fatta tempo da dal sito Lavoce.info, servirebbero 5-6 miliardi. Il governo pensa a due miliardi. Impensabile che una misura del genere si possa fare in deficit. Impossibile che l'Ue, anche negli anni a venire, ci conceda maggiori margini di spesa, soprattutto per misure di questo genere, difficili da vendere come riforme. Quella che Renzi ha in mente è una misura «redistributiva» da sinistra classica. La conferma da una frase dello stesso ministro Poletti pronunciata ieri a Brescia. «Vogliamo costruire un'infrastruttura per fare politiche di inserimento sociale. I soldi che mettiamo arrivano dalla tasse e che noi ridistribuiamo; i cittadini pagano per sostenere altri cittadini in difficoltà». Se si riferiva alle tasse che i cittadini già pagano, le risorse non basteranno. Se il governo volesse introdurre nuove imposte ad hoc per finanziare il fondo anti-povertà, allora l'esecutivo di Matteo Renzi perderebbe consensi e infrangerebbe un'altra indicazione che ci viene dalle istituzioni internazionali, compresa l'Europa: impossibile aumentare ulteriormente le tasse. Le parole di Poletti sono state apprezzate da sindacati e maggioranza. Ma persino la Cisl, che su misure di questo tipo punta da molto, vede un rischio. Serve che il disegno di legge delega segua un percorso coerente.

Altrimenti, spiega il segretario generale Annamaria Furlan, «c'è il rischio di illudere tante persone deboli o di fare diventare il tema della povertà un terreno di propaganda o di possibili strumentalizzazioni», mentre la priorità dovrebbe essere «quella di sostenere le famiglie più bisognose».

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