Il trucco degli immigrati per non pagare le tasse

Una norma prevede che possano dichiarare a carico parenti che vivono all'estero. E basta autocertificare

Il trucco degli immigrati per non pagare le tasse

Rimborsi Irpef agli stranieri. Così gli immigrati si prendono gioco del Fisco e degli italiani. Ci sarebbe una falla nel sistema normativo italiano che consente agli stranieri di ottenere le detrazioni di imposta anche per i parenti a carico residenti all'estero. Questo anche quando la situazione è difficile da verificare perché il Paese di origine versa in condizioni troppo arretrate per avere un ufficio anagrafe o un ufficio che sia attendibile.

La norma parla chiaro. Scorrendo il testo delle istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche, aggiornato con provvedimento dell'11 aprile 2017 e visibile sul sito dell'Agenzia delle Entrate, a pagina 18, punto 4, si legge che: «Sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che nel 2016 hanno posseduto un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili». Poi, dodici righe più sotto: «Possono essere considerati familiari a carico, anche se non conviventi con il contribuente o residenti all'estero: il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli (compresi i figli, adottivi, affidati o affiliati) indipendentemente dal superamento di determinati limiti di età e dal fatto che siano o meno dediti agli studi o al tirocinio gratuito». Sarebbe questa quindi la falla che consente anche agli immigrati di poter usufruire delle detrazioni d'imposta.

Non solo, una fonte de il Giornale spiega che: «Gli stranieri possono mettere familiari a carico anche se gli stessi familiari non sono mai stati in Italia». Una situazione paradossale che consente di eludere il Fisco a danno della collettività. Sempre nelle istruzioni per la compilazione, a pagina 19, è riportata una serie di documenti che i cittadini extracomunitari devono avere per richiedere le detrazioni, come per esempio la «documentazione originale rilasciata dall'autorità consolare del Paese d'origine, tradotta in lingua italiana e asseverata da parte del prefetto competente per territorio» o la «documentazione validamente formata nel Paese d'origine, tradotta in italiano e asseverata come conforme all'originale dal Consolato italiano nel Paese di origine». Ma il problema è quando la verifica dei documenti diventa difficile se non impossibile perché nel Paese di origine non c'è un'anagrafe attendibile.

Una grana che riguarda Paesi come il Bangladesh. A Venezia la comunità bengalese sembra essere particolarmente preparata sull'iter da compiere per il recupero dell'Irpef. A sollevare la questione, infatti, è un esposto depositato alla Guardia di finanza lagunare da Luigi Corò, presidente del Cmp, un'associazione senza scopo di lucro, che riunisce comitati popolari e singoli cittadini. «Abbiamo tantissimi stranieri dice Corò - che provengono da Paesi dove non c'è l'anagrafe e che dichiarano di avere a carico congiunti nel Paese di origine, senza che ci sia la possibilità per il nostro Stato di verificare». Questo consentirebbe loro di avere una autocertificazione legalizzata e riconoscibile anche dal Prefetto ottenendo il rimborso Irpef.

«Un numero elevato di stranieri si legge nell'esposto - che usufruiscono dei servizi, quali: ospedali, strade, trasporto pubblico, senza che questi concorrano alle spese, bensì gravando su tutta l'altra società.

Una vera e propria ingiustizia a danno degli italiani, in particolare dei più deboli che si vedono di giorno in giorno ridotti i servizi». Per cambiare la situazione, nel sito di Cmp, è in atto una raccolta firme: «Stop alle truffe evasioni a danno degli italiani».

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