L'antica sapienza cinese nei rapporti diplomatici rifulge nei dettagli. Donald Trump diventa presidente promettendo agli elettori di «rimettere a posto» la Cina, nemico numero uno degli Stati Uniti? E Xi Jinping dà mostra di abbozzare, concedendo al suo collega americano - notoriamente sensibile al flattering - un'accoglienza degna di un imperatore in occasione della sua visita ufficiale a Pechino. E lui ringrazia soddisfatto, assicurando che la colpa del maxi deficit commerciale non è dei cinesi, ma dei suoi predecessori alla Casa Bianca: tutto si accomoderà. Trump manifesta una notoria ossessione verso i media del suo Paese, che accusa di essere una fabbrica di fake news ai suoi danni? E mentre lui è a Pechino il Global Times, giornalone cinese di stretta osservanza governativa, lo gratifica scrivendo che i colleghi americani sono colpevoli di un tentativo di presentare all'opinione pubblica della Cina un'immagine «fuorviante e tutta negativa» del loro presidente, che è invece un «leader pragmatico».
Non sappiamo che peso abbiano avuto queste studiate gratificazioni sulle scelte di Trump, ma sta di fatto che ieri il «pragmatico leader» statunitense ha firmato con Pechino (che un anno e mezzo fa aveva accusato di «stupro» ai danni dell'economia americana) il più colossale accordo commerciale della storia mondiale tra due singoli Paesi, del valore di 253 miliardi di dollari, e ha assicurato di voler costruire «un rapporto ancora più forte con la Cina». Il mega-accordo è la risultante di 15 distinte intese, che vedono tra l'altro coinvolti colossi americani come Goldman Sachs, General Motors e Boeing.
Il clima generale che si respira nella capitale cinese tra le due delegazioni è quello del massimo impegno per un effettivo disgelo. Trump e Xi hanno convenuto che «la collaborazione è l'unica via» per affrontare i due temi che più dividono gli Stati Uniti dalla Cina: oltre a quello del disavanzo commerciale, la crisi nucleare nordcoreana. Dietro lo slogan c'è la consapevolezza che Cina e Stati Uniti hanno più che mai bisogno l'uno dell'altro e che non è questo il momento di acuire i contrasti. Semmai, come ha ricordato Trump, questa è l'ora di collaborare per prevenire «una crisi potenzialmente tragica», quella nordcoreana. Il presidente americano ha riconosciuto a Xi di essere sulla via per «agire più velocemente ed efficacemente di chiunque altro» su una questione che richiede «l'unità dell'intero mondo civilizzato».
Sulla crisi innescata dal programma atomico illegale di Pyongyang, Trump è tornato a chiedere la collaborazione anche di Vladimir Putin. Voci insistenti indicano per oggi in Vietnam, dove il presidente Usa parteciperà al vertice dell'Apec di Da Nang, l'occasione dell'incontro personale con il leader russo. Fino all'ultimo, tuttavia, fonti di entrambi Paesi (per gli Stati Uniti il segretario di Stato Rex Tillerson), hanno mantenuto l'incertezza sull'effettivo realizzarsi dell'atteso meeting. Per il Cremlino si sta ancora discutendo su dettagli organizzativi, ma intanto l'abile Putin alza il prezzo lanciando a Washington accuse di ingerenza nelle presidenziali russe.
Per il leader moscovita - che ufficialmente non avrebbe ancora deciso se ricandidarsi alla massima carica politica - l'insistenza americana nel sostenere che in Russia esiste un doping di Stato (concetto peraltro ampiamente accettato a livello mondiale) indicherebbe «la volontà di interferire concretamente nelle presidenziali russe, a fronte delle nostre immaginarie interferenze in quelle americane». Un ragionamento tortuoso, ma ognuno ha i suoi modi per fare pressione su Donald Trump.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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