Il 16 gennaio del 2015 Carlo De Benedetti telefona al banker di Intermonte. Quattro giorni dopo, il 20 gennaio, il Consiglio dei ministri approverà il decreto che impone alle Popolari di trasformarsi in società per azioni (il prossimo 20 marzo, per altro, la Consulta si esprimerà sulla costituzionalità della norma).
«Ho parlato con Renzi ieri», dice l'Ingegnere assicurando che il decreto «passa». Dettaglio penalmente non rilevante secondo la procura che ha archiviato la pratica. Lo è però politicamente visto che il governo in quelle settimane non riesce ad arginare la fuoruscita di rumors sulla riforma. Anzi, come si vede dalla telefonata, confermata da Renzi davanti ai pm - li alimenta. E qualcuno ci guadagna.
Dall'inizio di gennaio 2015 alla prima settimana di febbraio sono parecchie le «mani» forti che si muovono in Borsa sui titoli delle banche popolari. La tempistica viene ricostruita dalla Consob con una relazione che il presidente Giuseppe Vegas legge in audizione alla Camera l'11 febbraio di quell'anno. Nella memoria si legge che il 3 gennaio l'agenzia Ansa riporta l'indiscrezione relativa alla possibile riforma delle banche Popolari allo studio del governo.
Il 16 gennaio - il giorno della telefonata di De Benedetti - a mercati chiusi, dunque dopo le 17.30, Renzi annuncia la riforma. Il 20 il Consiglio dei ministri approva il provvedimento. Ebbene, dal 3 gennaio al 9 febbraio 2015 i titoli delle Popolari sono saliti da un minimo dell'8% per Ubi a un massimo del 57% per Banca Etruria, a fronte di una crescita dell'indice del settore bancario dell'8% e con volumi consistenti. «Le analisi effettuate hanno rilevato la presenza di alcuni intermediari con un'operatività potenzialmente anomala, in grado di generare margini di profitto», annota la Consob. Aggiungendo che «le plusvalenze effettive o potenziali di tale operatività sono stimabili in circa 10 milioni». Ricordiamo che Intermonte sim, per conto della Romed (società di De Benedetti), compra titoli delle Popolari per 5 milioni realizzando una plusvalenza di 600 mila euro. Presumibilmente dopo la telefonata del 16 gennaio. I movimenti anomali fatti da investitori, anche attraverso intermediari italiani ed esteri, partono però già prima. A quante orecchie era arrivata la «soffiata»? E da quale fonte era partita? Il principale sospettato in quelle settimane è il fondatore di Algebris, Davide Serra, supporter dell'ex sindaco di Firenze dai tempi della prima Leopolda.
Serra precisa subito che Algebris investe nelle Popolari «dal marzo 2014», il 12 febbraio 2015 dichiara in una nota non avere comprato alcun titolo di banche popolari italiane dal 1 al 19 gennaio e che l'unica operazione è stata una dismissione di 5,2 milioni di azioni del Banco Popolare realizzando una perdita. La società precisa poi di non aver mai fatto investimenti nell'Etruria. L'11 marzo sempre del 2015 il finanziere ribadisce la sua difesa anche davanti alla Consob.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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