Tutti stranieri in classe, lezioni in tilt. La preside: "Ora un tetto alle iscrizioni"

In una scuola di Mestre gli alunni extracomunitari arrivano al 96%. "Così diventa impossibile garantire la qualità della didattica"

Tutti stranieri in classe, lezioni in tilt. La preside: "Ora un tetto alle iscrizioni"

«Non siamo in grado, con numeri di questo tipo, di garantire la qualità dell'istruzione né per i bambini italiani né per gli stranieri». I « numeri» di questo istituto comprensivo di Mestre, il «Giulio Cesare», arrivano in alcune classi anche a 22 stranieri su 23, dove si parla solo in bengalese, gli insegnanti non comunicano con gli allievi né con i loro genitori, e qualche alunna musulmana non partecipa alle lezioni di flauto perché l'Islam glielo proibisce.

L'allarme rosso sulla sostenibilità di una didattica «normale» è scattato quest'anno, quando la percentuale di stranieri ha sfiorato l'80% con punte del 96 in alcune sezioni tra elementari e scuola materna. E che ora la preside Rachele Scandella è determinata ad abbassare al 40, livello di guardia. Un limite che scatterà dal prossimo anno, quando per la prima volta sarà introdotto un tetto alle iscrizioni di alunni non italiani che fa già fa gridare allo scandalo, ma che trova d'accordo il direttore dell'ufficio scolastico regionale Daniela Beltrame: «La dirigente me ne ha parlato alcuni giorni fa, abbiamo concordato un percorso che coinvolga la Città metropolitana, il Comune, la diocesi. Ora è il momento di attuarlo». Questione di logistica e di mezzi di trasporto, necessari per agevolare l'accesso alle altre scuole. Ma alleggerire la concentrazione di bambini extracomunitari, qui quasi tutti bengalesi (un'intera comunità vive nella zona), sembra l'unico rimedio per salvare la qualità di una formazione che risulta già compromessa. «Le classi mono etniche sono un problema ancora più grosso - ha spiegato la preside - non c'è scambio, non c'è arricchimento, il problema dell'inclusione viene bypassato e diventano dei ghetti». Il sentiero dell'inclusione è impraticabile, i programmi formativi si infrangono contro un muro di incomunicabilità in sezioni dove gli stessi alunni si improvvisano interpreti con i compagni e le lezioni si svolgono a gesti. Anche i colloqui tra mamme bengalesi e docenti appaiono un ostacolo spesso insormontabile, a causa di una conoscenza sommaria della lingua anche dopo diversi anni di frequenza dei figli.

Dopo l'inarrestabile esodo verso altre scuole, i genitori dei pochi bimbi italiani rimasti confidano che il provvedimento riporti l'emergenza alla normalità. «Resistiamo perché crediamo nelle potenzialità della scuola», dicono attraverso il presidente del consiglio di istituto, ma continuano a denunciare difficoltà di integrazione che hanno il volto di bambine con «il velo in seconda elementare», di ragazzine a cui viene proibito partecipare alla lezione di musica per motivi religiosi.

«Io voglio che quelle bambine sappiano che è legittimo per loro suonare il flauto - promette ora la preside Scandella - voglio che la scuola, che deve fare un servizio educativo, dia

le possibilità di conoscere le culture diverse per permettere un giorno da adulte di scegliere liberamente. Se tutte le famiglie di una classe sono bengalesi il confronto con la cultura italiana diventa quasi impossibile».

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