
Si apposta sotto casa della ex e la uccide a coltellate. Con i vestiti ancora sporchi di sangue sale su un treno diretto a Roma. E nella capitale viene arrestato. Ennesimo femminicidio, questa volta a Foggia dove a morire sotto i colpi di un assassino è una donna di 46 anni di origini marocchine, Hayat Fatimi. Una tragedia che non doveva accadere. Perché? Dopo le denunce per maltrattamenti e violenze l'uomo, Tariq Ei Mefedel, 47 anni, viene colpito da un'ordinanza di custodia cautelare, oltre al divieto di avvicinamento e al controllo tramite braccialetto elettronico. Nessun provvedimento, però, viene attuato in oltre quattro mesi.
Senza fissa dimora, quindi irreperibile, non è possibile portarlo in carcere. Niente da fare nemmeno per il braccialetto elettronico, mai applicato "per problemi tecnici". Ma la Procura sottolinea che per tutelare la vittima sarebbero eseguiti tutti i passi necessari. Eppure mercoledì sera la donna, sottoposta a codice rosso, viene avvicinata dall'assassino al rientro dal lavoro come cuoca in un ristorante in centro storico. I testimoni raccontano agli agenti della squadra mobile di urla strazianti nel cuore della notte in vico Cibele, nei quartieri settecenteschi. La poveretta, nonostante i colpi, chiede aiuto al 112 ma quando arrivano i soccorsi è troppo tardi e la trovano cadavere. In fuga, per poche ore, il killer. Una vecchia conoscenza per il centro antiviolenza Telefono Donna dove la poveretta si era rivolta lo scorso aprile.
Alle operatrici la vittima racconta come la breve storia d'amore si era trasformata in incubo. Appostamenti, minacce, scenate, botte. Tanto da convincerla a denunciarlo. Per le esperte del centro la cosa più sicura da fare è entrare in una struttura protetta e lasciare la città. Ma la donna non se la sente di lasciare la sua abitazione e il lavoro. Il 16 giugno relazionano il caso alle forze dell'ordine con una valutazione di rischio alto, con possibile femminicidio. Fino al 23 luglio, nonostante l'uomo continui a pedinarla, non viene emesso alcun provvedimento.
Sono le 13,20 di ieri quando i carabinieri di Roma centro, ricevuta la nota della polfer, vedono uno sbandato con maglietta e pantaloni sporchi di sangue. L'arresto è immediato. Dell'arma nessuna traccia.
"Arrivano da noi, si fidano, le accompagniamo nel percorso di riconoscimento della violenza, le seguiamo nella fase della denuncia - sottolinea Franca Dente, presidente di Impegno Donna -.
Non ce la possiamo fare da sole. Abbiamo bisogno di una ancora più stretta sinergia tra forze dell'ordine e magistratura. Abbiamo fatto tutti i passi giusti nei tempi giusti. È una sconfitta enorme per noi e per tutte le vittime".