Ultima tortura jihadista per logorare Israele. Ma Tel Aviv è pronta a riprendere la guerra

Il ritardo nella consegna degli ostaggi è parte della strategia di Hamas per tentare di allungare la tregua e tenere a tutti i costi il potere su Gaza. Ma il capo di stato maggiore israeliano Halevi è stato chiaro: "Restituiti gli ostaggi, il conflitto va avanti"

Ultima tortura jihadista per logorare Israele. Ma Tel Aviv è pronta a riprendere la guerra
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Gerusalemme - Uno scambio di ostaggi con Hamas non è un pranzo di gala. Hamas ieri ha inventato una nuova tortura e ne inventerà una al giorno per mettere Israele in ginocchio con l'unica arma che gli è rimasta e cercare di tornare a regnare su Gaza. Una serie di false accuse hanno bloccato al valico di Rafah gli ostaggi israeliani. Sinwar è ormai a un punto di rottura, il goffo tentativo di ieri di sollevare problemi tecnici su una questione vitale come il ritorno di 13 rapiti mostra solo la perversione di Hamas. Il suo terreno di gioco è l'impegno di Israele a non abbandonare nessuno, tantomeno donne e bambini, costi quel che costi. Si è concluso solo in nottata il perverso disegno di dominio della psiche israeliana, il rilascio era previsto alle 16 ma è slittato di molte ore. Durante tutto il giorno una vaga lista di proteste è uscita tramite pettegolezzi, la benzina promessa non è nella quantità prevista, i camion con l'aiuto umanitario non sono in numero giusto, i detenuti palestinesi non corrispondono al patto (peraltro sono rimasti fermi negli autobus fino come pattuito alla liberazione degli israeliani), Israele ha violato la tregua quando ha bloccato il passaggio a Nord (richiesto da Hamas) degli sfollati al Sud...

Intanto, probabilmente terrorizzati, i bambini israeliani con le loro mamme aspettavano di salire sulle ambulanze della Croce Rossa. Una dichiarazione delle brigate al Qassam ha sancito la decisione di Hamas. Al Jazeera ha detto che i rapiti non sarebbero stati consegnati fino al completamento del patto. In questo tragico teatro le famiglie e gli amici dei rapiti che secondo le previsioni, appartengono al kibbutz Be'eri che ha visto gli orrori più indicibili della strage, hanno aspettato all'hotel David sul mar Morto, dove le abbiamo visitate: nell'attesa, sono nel più profondo stato di choc, ma la forza della gente dei kibbutz di Israele di sopportare il lutto e la trepidazione è sorprendente. Non c'è invidia per le famiglie delle persone già liberate. C'è ottimismo nell'aspettare il proprio turno. La menzogna, dato che Israele non oserebbe mai violare un accordo che mette a rischio donne e bambini, vuole schiacciare la gente, i soldati, renderli sconvolti e incerti. Hamas vuole allungare i tempi per rimettersi in sesto: e suggerisce che gli scambi possano continuare altri giorni, forse fino a 10 giorni in cui si restituirebbero altri ostaggi. Per creare uno sfondo credibile si è avuto ieri lo sbarco a Tel Aviv di un inviato speciale dal Qatar e a Gaza la presenza dell'ufficiale sempre incaricato di portare le famose valigie verdi col denaro coi miliardi per Hamas. Sinwar spera che con l'aiuto del Qatar e dell'Egitto, e dato l'interesse di Biden alla tregua, può spingere avanti col terrore l'interruzione della guerra e farla diventare una tregua. Ma Israele sa bene che anche la restituzione dei rapiti è una conseguenza della sconfitta militare e certo non dei motivi umanitari. Per questo, nel bel mezzo del momento di più intensa tensione, il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha detto a tutto il Paese in attesa: «Appena conclusa la restituzione dei rapiti, continuiamo». Ovvero, è solo questione di tempo. La salvezza di Israele non è nei patti con un'organizzazione di zombie che bruciano, stuprano, uccidono, decapitano, anche se il Qatar e l'Egitto fanno di tutto per farlo credere. È nel batterne l'organizzazione una volta per tutte, cancellarla dal confine lungo il quale sorgono i kibbutz e le città la cui devastazione ha cambiato Israele per sempre.

Halevi ha dichiarato la determinazione dell'esercito ad andare avanti. Quando ha parlato non aveva ancora come confine la mezzanotte, l'ora in cui la tregua scadeva e l'esercito avrebbe dovuto prendere le sue decisioni nel caso in cui patti sugli ostaggi fossero stati violati.

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