
Stati Uniti vietati ai palestinesi. Non solo ai funzionari dell'Anp e dell'Olp, in testa il leader Mahmud Abbas (detto anche Abu Mazen) a cui Washington, negando i visti, ha di fatto vietato venerdì scorso la partecipazione all'Assemblea generale dell'Onu prevista per settembre a New York, dove si spingerà per il riconoscimento di uno Stato palestinese. D'ora in poi, gli States saranno vietati non solo ai quasi due milioni di palestinesi di Gaza, molti dei quali cercano cure mediche negli Usa, come deciso il 16 agosto. Si scopre adesso che l'amministrazione americana, appena due giorni dopo, ha alzato ancora il tiro: i visti turistici o per visitatori - i cosiddetti visitor visas - hanno subìto una sospensione radicale per tutti i titolari di passaporto palestinese. Secondo un cablogramma (un messaggio telegrafico inviato attraverso un cavo sottomarino), diffuso il 18 agosto dalla sede centrale del Dipartimento di Stato a tutte le ambasciate e i consolati statunitensi, nuove misure decise dall'amministrazione americana portano ora al divieto di ingresso anche per molti palestinesi della Cisgiordania e della diaspora palestinese e riguardano, almeno temporaneamente, anche i visti per cure mediche, studi universitari, visite ad amici o parenti e viaggi d'affari.
La notizia è stata diffusa dal New York Times dopo essere stata confermata da quattro funzionari statunitensi. E arriva mentre si scopre che Netanyahu, durante l'ultimo Gabinetto di sicurezza, avrebbe ricevuto la benedizione del presidente americano per continuare la guerra a Gaza senza esitazioni e senza firmare un accordo parziale con Hamas per la liberazione di una parte degli ostaggi. Tout se tient. Israele punta dritto alla conquista di Gaza City con il benestare di Trump, che gli avrebbe detto di agire "con piena forza e chiuderla", pronto per la "Riviera", anche se Hamas replica che "la Striscia non è in vendita".
A tentare di fare da argine alla linea dura del premier israeliano sui rapiti è il capo delle Forze Armate d'Israele (le Idf), Eymal Zamir. È stato il generale, sensibile al dramma degli ostaggi che sembrava anche la priorità del governo israeliano fino a qualche settimana fa, a chiedere durante la riunione di votare sull'intesa "parziale" (60 giorni di tregua e 10 ostaggi liberi) alla quale Hamas ha dato il suo consenso il 18 agosto. I particolari della riunione sono emersi sui media israeliani e riferiscono che il premier ha voluto evitare a tutti i costi la votazione, nonostante fossero favorevoli a esprimersi i leader dell'estrema destra, tra cui Ben Gvir, che volevano rigettare formalmente l'intesa. Parole grosse sono volate durante l'incontro. Con la ministra per gli Insediamenti Orit Strook che ha accusato il generale Zamir di codardia e il capo delle Idf che ha avvertito invece come il piano per la conquista di Gaza City porterà alla conquista dell'intera Striscia e di conseguenza a un "governo militare". Il generale spera nell'approvazione dell'accordo con Hamas, e da giorni esortato i ministri ad adottare la bozza sul tavolo, spiegando che l'operazione Carri di Gedeone 1 "ha creato le condizioni per il ritorno dei rapiti". Tutto ciò nonostante un documento classificato delle Idf, diffuso all'interno dell'esercito, abbia concluso che l'operazione sia fallita, non essendo riuscita a raggiungere i suoi obiettivi principali.
Israele si conferma un Paese dilaniato fra la spinta favorevole a smantellare Hamas e il pressing per il ritorno degli ostaggi. Nel frattempo un'altra tegola cade sul governo.
L'Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio (Iags) ha approvato all'86% (di 500 votanti) una risoluzione in cui afferma che "le politiche e le azioni di Israele a Gaza soddisfano la definizione legale di genocidio". Accusa a cui Israele replica: "Vergogna. È basata sulle bugie di Hamas".