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Usa, scontri razziali in 170 città. L'agente: "Ho fatto il mio dovere"

Migliaia di persone bloccano ponti e strade. Le autorità: tolleranza zero A Ferguson 44 arresti. E il movimento si spacca sull'uso della violenza

Usa, scontri razziali in 170 città. L'agente: "Ho fatto il mio dovere"

Nel day after della rottura del silenzio da parte di Darren Wilson, continua a essere molto alta la tensione per le strade di Ferguson. Il confronto tra dimostranti e forze dell'ordine rimane serrato, sebbene una parte dei manifestanti abbia imboccato con decisione la via della protesta civile. E dal sobborgo di St. Louis, in Missouri, l'onda d'urto montata dopo la decisione della giuria di non incriminare l'agente Wilson per l'uccisione del 18enne nero Michael Brown, si sta propagando velocemente in tutti gli Usa. Ieri notte in oltre 170 città americane dall'East alla West coast, centinaia di migliaia di persone sono scese per le strade bloccando ponti, tunnel e highway per protestare contro il verdetto del Gran giurì.

Nel frattempo Wilson ha deciso di parlare, in una intervista esclusiva alla Abc , raccontando la sua versione sui fatti del 9 agosto: «Mi dispiace molto per la perdita di una vita, ma ho fatto semplicemente il mio lavoro». La mia «non è stata un'esecuzione, ho la coscienza pulita», ha affermato, spiegando che il suo sogno più grande ora è quello di «vivere un'esistenza normale». Ma non sarà facile: la rabbia nei suoi confronti è ancora forte, come dimostrano le numerose minacce di morte a lui giunte. Davanti alle telecamere, Wilson ha ripercorso con lucidità quanto è accaduto a Ferguson, dopo che ha fermato Brown per il furto di una scatola di sigari. «Mi ha sbattuto la portiera contro, ho cercato di respingerlo e mi ha dato un pugno, c'è stata una colluttazione - ha detto - Ho cercato di afferrare il suo braccio, mi sono reso conto della forza che aveva. Sembrava Hulk». Quindi ha proseguito, «quando gli ho detto di allontanarsi altrimenti avrei sparato, lui ha messo le mani sull'arma, ha cercato di afferrarla. Allora ho sparato. Lui si è arrabbiato di più. È uscito dall'auto ed è fuggito, mentre io chiedevo rinforzi». E alla domanda sul perché lo ha inseguito, ha risposto: «Era mio dovere. Ci addestrano per quello». «Quando si è avvicinato mi sono chiesto: “posso legalmente sparargli?” - ha continuato - Mi sono detto che dovevo farlo e ho sparato. Mi dispiace, ma non avrei fatto nulla di diverso quel giorno. La mia coscienza è a posto».

La sua dichiarazione è destinata a infuocare ulteriormente gli animi, almeno dei manifestanti duri e puri, come i 44 che a Ferguson sono finiti in manette tra martedì e mercoledì. La polizia tuttavia ha riferito che la seconda notte di protesta è stata meno violenta di quella precedente. Sebbene teppisti abbiano spaccato le vetrine del comune, e lanciato pietre e molotov contro gli agenti che hanno risposto con i lacrimogeni, «non si sono ripetuti gli episodi di saccheggio, incendio e sparatorie della sera prima», ha riferito il capo del Dipartimento di St. Louis, Jon Belmar. Ciò in parte è dovuto alla determinazione del governatore del Missouri, Jay Nixon, il quale aveva annunciato alla vigilia del verdetto «tolleranza zero» contro disordini e illegalità. Ma anche perché è in corso una spaccatura nel movimento di protesta tra gli oltranzisti violenti, talvolta indottrinati e pilotati, e chi ha scelto la rimostranza civile, come il manipolo di dimostranti che ha impedito, la scorsa notte, il saccheggio di un negozio di Ferguson. La contestazione ha assunto sempre di più i connotati di un movimento nazionale. A New York una folla si è riunita nel tardo pomeriggio di martedì a Union Square e poi, dal Village a Times Square, con cartelli contro la polizia e bloccando il Lincoln Tunnel, i ponti e l'Fdr, ovvero la tangenziale est di Manhattan. A Washington, invece, un gruppo di manifestanti hanno inscenato un die-in , sdraiandosi in terra e fingendosi morti per quattro minuti e mezzo.

«Per simboleggiare le quattro ore e mezza che Michael Brown è rimasto sull'asfalto dopo essere stato ucciso», ha spiegato uno dei portavoce della protesta la cui eco si è fatto sentire anche a Boston, Philadelphia, Minneapolis, Seattle, Atlanta e Chicago.

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