Vacilla anche il fronte dei medici di base. Scontro con le Regioni

Ambulatori sotto assedio, salta il filtro e i pazienti intasano i pronto soccorso

Vacilla anche il fronte dei medici di base. Scontro con le Regioni

Il dottor Giuseppe Tortora risponde al telefono dal suo studio a Napoli. Mentre parla si sente battere sulla porta, come in un assedio: «Le posso dedicare solo pochi minuti, ho la sala d'attesa piena». Con l'emergenza Covid vacilla anche il fronte dei medici di base.

«Quando si è scoperto un contagiato nella classe di mia figlia - racconta Lorenzo B., professionista che vive a Roma - la scuola ha allertato la Asl e siamo dovuti andare a fare la fila sotto la pioggia alle 5 di mattina per il tampone. Quando è arrivato il risultato non è stata la Asl a rilasciare il certificato di negatività per poter tornare a scuola: bisogna andare nello studio del medico di base pieno di gente. Sperando che nessuno sia contagioso». Stesso tipo di allarme, un positivo in classe, ma esperienza diversa per la figlia di Carolina P.: anche lei vive a Roma, ma la scuola in questo caso ha mandato una mail ai genitori consigliando loro di rivolgersi direttamente al medico di famiglia. Che nel suo caso, per fortuna, si è organizzato bene anche per l'assistenza telefonica. Procedure farraginose, spesso diverse da un caso all'altro. E soprattutto un'ansia che monta e non sente ragioni. È così che rischia di saltare un'altra barriera nella lotta al Covid: il medico di base.

«Il mio telefono squilla in continuazione - racconta il dottor Tortora - spetta a noi medici inserire i dati nella piattaforma on line della Asl che poi ci comunica l'esito del tampone. E i pazienti in quarantena ci telefonano in continuazione: È arrivato l'esito?, Dottore può sollecitare?. E tra questo e la burocrazia va via metà del tempo». Il dramma della seconda ondata è che sta investendo territori con strutture ospedaliere più fragili e la pressione politica e mediatica è tale da aver scatenato un'ansia diffusa.

Il risultato è l'affollamento di ogni presidio medico a contatto con il pubblico, in particolare il pronto soccorso e le strutture che fanno tamponi. Il direttore sanitario dello Spallanzani chiede aiuto ai medici di base: «È un appello fraterno - dice Francesco Vaia -: sono da sempre il perno del sistema, oggi ancora di più devono agire come il vigile che smista i pazienti, mandandoli verso l'ospedale o a fare i tamponi solo quando serve davvero».

Da parte delle Regioni è partito il pressing perché i medici di base svolgano il ruolo di filtro e c'è chi li accusa di non fare abbastanza, di nascondersi dietro alla mancanza di dispositivi di protezione. Ma chi li deve fornire? Hanno uno status unico, a metà tra dipendente e libero professionista, sulla scorta di un contratto nazionale siglato in forma di intesa nella Conferenza Stato-Regioni. Le Regioni dunque pagano ma non decidono da sole le condizioni operative. Il numero di ore minimo di studio è bassino, 5 ore per chi ha 500 pazienti, 15 per chi ne ha il massimo (1.500), a fronte di un corrispettivo di circa 4 euro a paziente al mese. Ma, come un libero professionista, il medico deve pagarsi tutte le spese.

E così tanti si fanno in quattro lavorando giorno e notte, diverse decine sono anche morti di Covid, qualcuno si trincera dietro la segreteria telefonica e rifiuta visite a domicilio, operazione complessa e rischiosa con il virus, perché bisogna indossare le protezioni prima di entrare e poi smaltirle.

«Eppure - conclude Vaia - sarebbe importante dotarli di attrezzature, eliminare burocrazia e restituirli al lavoro clinico, incluso somministrare a domicilio le cure avanzate sperimentate allo Spallanzani». Servirebbe un nuovo patto con i medici di base, per raccordarli meglio con gli ospedali, invece di lasciarli soli al fronte. C'era tutta l'estate per pensarci. E invece.

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