RomaIl libro, «esplosivo», è quasi finito: aiutato dal fedelissimo Mattia Stella, l'ex capo della segreteria che sta curando l' editing , Ignazio Marino userà questi venti giorni di limbo istituzionale per completarlo. Doveva essere un diario sui primi anni di mandato, ma ora chissà, magari il titolo sarà qualcosa tipo Gli ultimi giorni di Pompei . I taccuini, deflagranti pare anche quelli, invece sono già pronti all'uso. Allineati, colorati, divisi per argomenti e catalogati in ordine di tempo, quei bloc notes spesso esibiti dal sindaco ai visitatori ora promettono sfracelli politici. «Sono la sua cintura di bombe a mano», scrisse a giugno su Repubblica Conchita De Gregorio. Insomma, «Marino ricatta il Pd», sostiene Giorgia Meloni, una che aspira e prendere il suo posto.
Pressioni? Minacce? Vendette? Sms imbarazzanti? Lettere da sventolare? Macché, lui nega tutto e vuole portare i giornali in tribunale. Non è vero, dice Marino, «che Matteo Orfini l'altra sera mi abbia telefonato», non è vero che gli abbia intimato «o te ne vai o il Pd ti sfiducerà in aula». Sono fasulle, insiste, «le mie frasi sulle mail, inesistenti, di Walter Veltroni». E ancora, «non ho mai detto che se affondo porto tutti sotto» e nemmeno «che farò i nomi» dei dirigenti dem che avrebbero proposto Mirko Coratti e Luca Odevaine, arrestati per Mafia Capitale, come assessore e come capo dei vigili urbani. «Falsità che mi costringeranno a procedere con le querele e le richieste di danni».
Di fronte a una simile e così energica smentita, non c'è che prendere atto e riferire. Però bisognerebbe raccontarlo anche a Largo del Nazareno, capire perché sono tanti nel Pd ad avere paura, a temere i colpi di coda del Marziano agonizzante. Quanti segreti conserva? O più semplicemente, quali verità penalmente irrilevanti ma politicamente scomode potrebbe rivelare?
Matteo Renzi, per una questione di ruolo, rischia di pagare in termini di immagine e di consensi: è il segretario, è il presidente del Consiglio. È vero, a lui Marino non è mai andato a sangue, a un certo punto voleva farlo fuori, ma non ha avuto la forza o la voglia di andare fino in fondo. A frenarlo, qualche mese fa, è stato Matteo Orfini, presidente del partito e proconsole del Pd romano. Il giovane turco ha «messo la faccia» su Marino, imponendo al premier, che già a giugno voleva azzerare tutto, di tentare il rilancio della giunta. Arrivò a minacciare dimissioni da commissario e, dicono, a far pesare il suo folto sottogruppo di parlamentari nel sostegno alle riforme. Ora una parte dei renziani romani gliela vuole far pagare, e ipotizza un congresso anticipato nella Capitale per scalzare il potere orfiniano. Ma Renzi ha bisogno di un punto di riferimento solido a Roma per gestire il dopo Marziano.
Un altro in difficoltà potrebbe essere Goffredo Bettini. Fu il grande sponsor di Marino, operazione che gli servì per dimostrare che a Roma era ancora lui a dare le carte. Del resto aveva già candidato il chirurgo alle primarie per la segreteria nazionale contro Franceschini e Bersani. Ma i rapporti tra Bettini e Marino si ruppero pochi mesi dopo l'elezione, quando il «cavallo scosso» (definizione bettiniana) non gli rispondeva neppure più al telefono.
E adesso il purosangue trasformato in ronzino potrebbe assestare il calcio dell'asino. Tutti gli occhi sono, sempre citando Repubblica , sulla «pila di quaderni con la copertina rigida allineati in orizzontale nell'angolo più discreto del suo studio».
Il sindaco non esce mai senza il suo diario, scrive con penna verde un resoconto minuzioso di incontri, dialoghi, nomi, dettagli. Poi, la notte, trascrive nei quaderni. «Annoto ogni conversazione e in effetti ho una memoria piuttosto precisa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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