Veleni, veline e processi. Il mese dei lunghi coltelli

Dalla guerra delle notizie alle accuse a Fraccaro al caso Belloni, per i 5s un gennaio sull'ottovolante

Veleni, veline e processi. Il mese dei lunghi coltelli

Fuochi che covavano sotto la cenere, rivalità nascoste da cortesie di facciata, ambizioni contrapposte, ego in convivenza forzata. La sensazione è che prima o poi doveva succedere. E la lunga partita che ha portato alla rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale è stata solo la scintilla che fatto detonare la bomba nel M5s. Oppure la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Con Beppe Grillo alle prese con i guai giudiziari del figlio Ciro e, da ultimo, con l'inchiesta della Procura di Milano sul caso Moby-Onorato, i duellanti del Movimento hanno vissuto un mese sull'ottovolante. In un susseguirsi di giornate in cui gli osservatori hanno fatto fatica a distinguere la dialettica politica dall'acredine personale. Quello che era il monolite di Grillo e Gianroberto Casaleggio sta assumendo sempre più le sembianze di un mostro dalle mille teste, ingovernabile e scosso da nevrosi difficili da diagnosticare. E allora tutti sulle montagne russe. Il grande equivoco che scompagina il grillismo è il Quirinale. Giuseppe Conte passa da un sì a Mario Draghi al Colle coltivando la speranza del voto anticipato a una posizione da scheggia impazzita. Luigi Di Maio tiene la stabilità come bussola e comincia ad accarezzare l'idea di un premier che diventa capo dello Stato. In mezzo le pedine che poi si sono rivelate determinanti. Quei 233 parlamentari orfani di una linea che hanno forzato sul bis di Mattarella.

Il mese del big bang inizia il 3 gennaio. Quando i senatori pentastellati si riuniscono su Zoom e chiedono di rieleggere l'attuale presidente della Repubblica. Tutti sanno che sarebbe la soluzione più facile per congelare governo e legislatura, eppure un mese fa a dirlo è solo un bel gruppo di eletti del M5s a Palazzo Madama. Il ministro degli Esteri rimane in silenzio, Conte sbanda, non fa nomi e tranquillizza la truppa: «Il governo deve andare avanti». La confusione diventa psicotica dopo il vertice del 19 gennaio con Enrico Letta e Roberto Speranza a casa del capo grillino. I giallorossi si esibiscono con tre tweet fotocopia a ostentare compattezza. Poi parte una velina in cui fonti del M5s escludono perentoriamente l'approdo di Draghi al Colle. Dimaiani e contiani si accusano a vicenda di voler intorbidare la acque. Lo spettacolo ha un epilogo poco edificante. Arriva un'altra velina anonima che smentisce quella precedente: «Non abbiamo fatto nomi».

Il resto è storia recentissima. Nel vivo del risiko quirinalizio Riccardo Fraccaro finisce al centro dei sospetti per presunte promesse di pacchetti di voti a Matteo Salvini su Giulio Tremonti. Conte viene tacciato di flirtare con il segretario della Lega, in una riedizione dell'esperienza gialloverde. Prima Franco Frattini e poi Elisabetta Casellati sono la pietra dello scandalo nella guerra tra bande. Ancora note anonime che sbugiardano quelle diffuse pochi minuti prima. Il conflitto diventa a viso aperto sull'altra Elisabetta, Belloni. «Il casus Belloni dello scontro tra Giuseppe e Luigi», ci scherzano su i parlamentari. Conte tira fuori dal cilindro il capo dei servizi segreti e adesso giura che l'idea era condivisa sia con Letta sia con Di Maio. Ciò che accade nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 gennaio è un giallo. Si dice che il ministro degli Esteri abbia bloccato la candidatura di Belloni in tandem con il titolare della Difesa Lorenzo Guerini. La trattativa per eleggere il capo dello Stato si incarta tra le perfidie degli stellati. Con Conte che cerca di portare Grillo dalla sua parte e lo convince a fare un tweet. «Beppe, è fatta avremo la prima presidente donna!». Il comico twitta controvoglia e scatena il pandemonio. Di Maio si adira per il metodo con cui si bruciano i nomi. I buoi sono scappati dalla stalla.

Sabato 29 il titolare della Farnesina parla circondato dai suoi e chiede chiarimenti interni. Stessa richiesta avanzata da Conte qualche ora prima. E ora - anche se dovesse scoppiare la pace - nulla sarà più come prima.

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