Roma - Presto smetterà di occuparsi di politica italiana, ma D'Alema si ricorda bene di quando si occupava di quella estera, da ministro. E avverte: «Bisogna vigilare sul voto all'estero, anche perché il meccanismo si presta a manipolazioni e brogli». In un intervista al Corriere l'ex premier lancia un paio di affondi sul tema che da giorni accende la polemica per la spregiudicata campagna del governo. Le accuse di D'Alema si leggono con chiarezza, conosce il meccanismo elettorale a distanza, da tempo additato come fonte di manipolazioni: «Da ex ministro degli Esteri - incalza - spero che tutti i diplomatici italiani ricordino di essere al servizio dello Stato e non del governo». Il riferimento è chiaro: da mesi esponenti di primo piano del governo, come Luca Lotti e Maria Elena Boschi, stanno partecipando in prima persona al tour elettorale dal Regno Unito all'America Latina per fare propaganda al Sì. Il problema è che spesso gli incontri sono organizzati direttamente dagli uffici diplomatici italiani, mascherandoli sotto una mano, molto lieve, di vernice istituzionale. In più, i consolati hanno un ruolo centrale nel gestire la spedizione delle lettere con la scheda agli elettori e poi verso il centro di raccolta in Italia. «Il governo - spiega Vincenzo Pessina, coordinatore di Forza Italia all'estero - si è accorto tardi di quanto possa risultare decisivo il voto estero, visto che con l'ultimo aggiornamento gli italiani oltre frontiera sono saliti a 4 milioni e 870mila. E ora stanno facendo di tutto. Ma il rischio di brogli è altissimo. Ad esempio i controlli nel centro di raccolta delle schede in Italia sono inesistenti. I plichi arrivano divisi per Paese e si sa benissimo che quelli in arrivo dall'Argentina, ad esempio, sono all'80 per cento schierati col centrodestra. Non c'è bisogno nemmeno di aprirli per sapere quali voti bisogna eliminare».
Di fronte alle tante accuse, a partire da quella di aver spedito una lettera ai connazionali usando un indirizzario che sarebbe stato negato al Comitato del No, Renzi tenta una difesa che non sta in piedi: «Per non parlare delle riforme le inventano tutte - ha replicato dal palco dell'assemblea nazionale per il Mezzogiorno - ieri era lettera agli italiani all'estero, lettera che in passato avevano già fatto sia Berlusconi che Bersani». Peccato che mandare lettere agli elettori sia di per sé lecito, il punto è capire se Renzi abbia sfruttato illecitamente il vantaggio di trovarsi a Palazzo Chigi. Sia Berlusconi che Bersani non erano presidenti del Consiglio. C'è poi la questione dei costi. Il Pd sostiene di aver finanziato la spedizione. Ma se le lettere sono partite tardi, come pare, per arrivare in tempo devono aver pagato la tariffa piena, con un esborso potenziale, calcolato dal Manifesto, di 13 milioni. «Più del risparmio per l'abolizione del Cnel», ironzza Quagliariello.
E pensare che a sollevare la questione della regolarità del voto a distanza in Parlamento è stata una deputata della maggioranza renziana, Angela Fucsia Fitzgerald Nissoli, secondo cui «dopo il referendum bisognerà cambiare le regole». Ma tanto a Renzi il dopo interessa poco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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