Guerra in Ucraina

Il veleno di Mosca (e Pechino). "Biden è Hitler, onta da lavare"

Putin spinto dai falchi, la "vendetta" nel discorso di oggi. La Cina osserva: il capo della diplomazia vola a Mosca

Il veleno di Mosca (e Pechino). "Biden è Hitler, onta da lavare"

Al Cremlino e dintorni non hanno preso benissimo la visita di Biden a Kiev. Nonostante ci sia stato un gentlement agreement Usa-Russia per evitare danni durante il summit, dagli alti papaveri dell'establishment fino a commentatori e a propagandisti più di nicchia, è un fiume di veleno verso il presidente Usa che quasi certamente finirà nel mirino dell'atteso discorso di Putin di oggi. «Potevamo ucciderlo, comunque meglio non averlo ammazzato, in fondo è solo un vecchio demente», l'amichevole chiosa della tv di stato russa che da ieri manda in sovrimpressione il conto alla rovescia per l'intervento dello Zar. Roba da Istituto Luce.

Il nazionalismo più spinto è infatti il sentimento alla base di moltissimi russi, almeno quelli estremisti, spesso fuori dalla realtà. «Biden è pazzo come lo era Hitler quando viaggiò nei territori occupati dell'Urss», ha scritto il politologo Mikhail Tiurenkov. «È la provocazione di due dittatori sanguinari, due criminali di guerra che presto finiranno davanti a un tribunale», ha detto il deputato della Crimea Mikhail Sheremet. «Biden a Kiev? Solo perché abbiamo deciso di non sparare a lui e a Zelensky», scrive il blogger Boris Rozhin. Immancabile il commento dell'ineffabile Maria Zakharova che invita a «non dimenticare il destino di tutti i precedenti progetti americani». Tra provocazioni e deliri, quel che i falchi che svolazzano intorno Cremlino pretendono da Putin è una dura reazione, perlomeno verbale, nel discorso di oggi, con molti siti ultranazionalisti che chiedono che «l'onta sia lavata».

Perché la pressione sullo Zar è tanta. La compattezza dimostrata dall'Occidente nel sostenere l'Ucraina non era affatto scontata e ha isolato ancora di più la Russia che continua a elemosinare, apparentemente a vuoto, l'aiuto della Cina. Il ruolo del Dragone nel conflitto e negli equilibri geopolitici mondiali, piaccia o no, è decisivo. La dichiarazione di Zelensky, «se la Cina si alleasse con la Russia ci sarebbe una guerra mondiale», forse è un po' tranchante ma quasi certamente non è distante dalla realtà. E comunque rende l'idea. Quando attaccarono Pearl Harbor nel 1941, alcuni generali giapponesi dissero «abbiamo svegliato il gigante che dorme», riferendosi agli Stati Uniti e al loro ingresso nel conflitto. Ora il gigante che dorme e che può stravolgere gli equilibri, è proprio la Cina. O meglio, un gigante che finge di dormire. Non a caso, mentre alcuni media di Pechino definiscono «irrazionale» il blitz di Biden a Kiev, dopo il giro di consultazioni di Monaco di Baviera, il capo della diplomazia del Partito comunista cinese Wang Yi oggi sarà a Mosca. Ufficialmente per portare avanti la proposta di pace di cui si sta facendo portatrice Pechino, che sarà confermata anche dal discorso del leader Xi Jinping per l'anniversario della guerra. Vicini alla Russia, ma non troppo, con il Dragone ben felice di ampliare il suo ruolo nello scacchiere internazionale simulando pacatezza per acquisire autorevolezza.

Solo l'altro giorno, l'alto rappresentante Ue per la politica Estera Borrell, aveva ammonito Pechino: «Ho chiesto che la Cina non assista la Russia e ho detto che sarebbe una linea rossa delle nostre relazioni». Di contro il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin, ha replicato facendo notare che sono gli Stati Uniti che «non smettono di fornire armi, non la Cina», reazione soprattutto ai sospetti del segretario di Stato Usa Blinken, che si era detto certo del sostegno di Pechino a Mosca. Un sostegno di cui finora non si hanno prove o riscontri, come confermato anche dalle intelligence di mezzo mondo. Non dorme il Dragone ma pare sguazzarci alla grande in una posizione ambigua. Un po' di qua e un po' di là, ma in realtà per i fatti suoi. Il vero focus della Cina infatti non è in Ucraina ma è incentrato sulla propria economia, che passa inevitabilmente dal recupero dei rapporti con gli Stati Uniti. Inoltre, un ruolo non certo atlantista ma quantomeno non interventista, nelle intenzioni di Pechino vale di fatto come lasciapassare per fare quel che vuole con Taiwan ed evitare interferenze esterne. Anche questo è nazionalismo. Ben differente però da quello ostentato a Mosca, seppur in contrapposizione con quello, più latente, americano.

E che con le parole di Putin e Biden, oggi, e di Xi nei prossimi giorni, si mostrerà con pochi filtri al mondo intero.

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