V enti passi. Tanti ne sono bastati a Donald Trump per assicurarsi un posto memorabile tra i leader di Washington e nei volumi delle biblioteche mondiali. The Donald è il primo presidente americano in carica a mettere piede in Corea del Nord. Un risultato che arriva dopo oltre settant'anni di ostilità con Pyongyang, dopo un conflitto esploso nel 1950 con l'invasione del Sud, alleato degli Stati Uniti, da parte del Nord comunista e che non si è mai chiuso con un trattato formale. Da ieri, da quando ha oltrepassato il confine tra le due Coree, spingendosi oltre quel trentottesimo parallelo residuato della Guerra Fredda, oltre quella frontiera che dal secondo conflitto mondiale divide il Sud filo-americano dal Nord filo-cinese modellato sul regime stalinista dell'Urss, Trump ha ottenuto riflettori e onori per accreditarsi come colomba capace di stemperare gli animi di una delle dittature più feroci al mondo. E quei venti passi diventano la sintesi di un passo simbolico ben più grande, la possibilità che la denuclearizzazione della Corea del Nord non sia più una chimera e che con il regime di Pyongyang il dialogo sia aperto.
È la vittoria della Twitter-Diplomacy, della diplomazia a colpi di cinguetii. Perché è stato proprio un tweet del leader americano ad anticipare la storica camminata e conseguente chiacchierata con Kim. L'invito a un incontro era stato lanciato 24 ore prima da Trump dopo le fatiche del G20 di Osaka, in Giappone. Sembrava solo una boutade. Invece il leader nord-coreano ha accettato. L'elicottero Marine One è atterrato nella zona demilitarizzata tra le due Coree alle 14.30 ora locale (erano le 7.30 del mattino in Italia). Alle 15.46 si faceva la Storia. Mai un leader nord-coreano e un presidente statunitense si erano visti lungo la demilitarized zone (Dmz), un'area che a dispetto del nome è la più sorvegliata al mondo. «Un grande momento, un grande onore, un giorno meraviglioso per il mondo», dice orgoglioso Trump, al suo terzo incontro con Kim, il primo il 12 giugno di un anno fa a Singapore (quando iniziò il disgelo che fino a quel momento sembrava impossibile), il secondo il 27 febbraio ad Hanoi, in Vietnam, finito invece con un nulla di fatto. Ora quel flop diplomatico sembra archiviato. «La nostra relazione è eccellente - dice ottimista Kim Jong-un durante il bilaterale che si è svolto subito dopo la storica stretta di mano, alla Freedom House, l'edificio in Corea del Sud dove avvengono gli incontri diplomatici - Sono convinto che ci consentirà di superare le barriere che ostacolano il nostro lavoro». Trump non si tira indietro e parla di «grande amicizia» con Kim. Lo invita alla Casa Bianca «in qualsiasi momento voglia». E pare che l'invito sia già stato ricambiato da Kim, secondo il giornalista Martyn Williams, che era sul posto e ha pubblicato un video in cui il traduttore sembra dire a Trump che quando sarà il momento giusto Kim lo aspetta a Pyongyang.
Anche Papa Francesco suggella il summit come «ulteriore passo nel cammino della pace». Ma non manca lo scetticismo sulle reali possibilità che l'apertura riesca davvero a dissuadere il regime dai suoi piani nucleari. I più critici sono convinti che si sia trattato solamente dell'ennesima photo-opportunity per i due leader e che entrambi i Paesi in realtà andranno avanti: la Corea del Nord con il suo arsenale atomico, gli Stati Uniti con le sanzioni. Resta il fatto che Trump ha aperto una breccia con il regime come mai nessun predecessore. «L'amministrazione Obama implorava per un incontro», dice il leader Usa. Il viceconsigliere di Barack Obama, Ben Rhodes, smentisce che l'ex presidente abbia mai pensato a un summit con il dittatore. Ma i passi avanti di Trump sono un'evidenza. E il presidente Usa guarda già avanti: «I negoziati riprenderanno nelle prossime due o tre settimane». Con un team quasi inalterato, secondo Trump, almeno ai vertici.
Il presidente Usa smentisce le notizie secondo cui i negoziatori nord-coreani di Hanoi sarebbero stati eliminati dal regime dopo il summit-flop. «Vi posso dire che il capo negoziatore è ancora vivo e spererei lo siano anche gli altri». Le trattative possono ripartire.
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