Non è che, fino a qualche anno fa, un Picasso fosse alla portata di tutti. Però ora i capolavori dell'arte richiedono un conto in banca stratosferico: la prova è arrivata la scorsa settimana, alle aste di Christie's e Sotheby's a New York. Una settimana da record dove, da Christie's, in due serate è stata superata la cifra di un miliardo di dollari di incassi: un miliardo e trecento milioni, per la precisione. Un afflusso di denaro senza precedenti, uno «spettacolo dell'eccesso ai suoi livelli più alti» come l'ha definito Abigail Asher, della società di consulenza artistica Guggenheim Asher Associates, che ha spiegato al New York Times : «Sono stati gli ultimi anni a portare a questo momento. Una nuova classe di compratori è entrata sul mercato ed è pronta a pagare cifre esorbitanti per delle opere-trofeo». Questa nuova classe di collezionisti dispone di soldi mai visti: ricchi ancora più ricchi, la cui ricchezza è proprio ciò che contribuisce a fare salire il prezzo di quadri e sculture a livelli mai toccati prima.
La ricchezza alimenta l'arte che a sua volta ricompensa i compratori con rendite che pochi altri beni possono garantire: un «circolo virtuoso» spiegato da David Leonhardt sul New York Times , per cui è proprio la maggiore offerta da parte di collezionisti milionari a fare lievitare i costi finali a cui certe opere sono battute all'asta. Come il Picasso da guinness della settimana scorsa (che ha toccato i 179,4 milioni di dollari), o la scultura di Giacometti (141 milioni): per la legge del mercato, se più investitori puntano allo stesso prodotto, il prezzo di quel prodotto è destinato a salire. E, in futuro, se la tendenza continuerà, alla prossima vendita farà guadagnare ancora di più al suo compratore.
Il caso del quadro di Picasso è esemplare. Prima della settimana scorsa, Les Femmes d'Alger (versione O) era stato acquistato nel 1997, per 31,9 milioni di dollari. Ora è stato battuto a 179,4 milioni. Il ragionamento di Leonhardt - che si basa sui dati di Forbes - è semplice: in media, una persona non spenderebbe più dell'uno per cento del suo patrimonio per una singola opera; perciò, al giorno d'oggi, uno dovrebbe possedere almeno 17,9 miliardi di dollari per permettersi il Picasso. E nelle liste dei Paperoni della terra ci sarebbero una cinquantina di persone papabili. Non poche. Rapportata all'inflazione, la cifra di 17,9 miliardi corrisponderebbe a 12,3 miliardi nel 1997: solo una dozzina di nomi, allora, avrebbe potuto affrontare la spesa, quattro volte in meno rispetto a oggi. E infatti allora il Picasso fu battuto a una cifra molto inferiore: 31,9 milioni (corretti a 46,7 con l'inflazione). Perché? Perché, appunto, il numero dei ricchissimi era più ristretto, mentre oggi i miliardari sono di più, e sono disposti a contendersi i grandi capolavori per cifre mai viste. Ci sono tanti miliardari, ma un solo Les Femmes d'Alger (versione O) : e quello che lo vuole deve pagare molti, molti milioni.
E questo non solo perché i Picasso e i Giacometti facciano un figurone, esibiti nel salone di casa. Il fatto è che l'arte è diventata una forma di investimento da nababbi, perfino più dell'oro, come ha spiegato un mese fa Laurence D. Fink, presidente di Black Rock (la più grande società di investimenti al mondo) durante una conferenza a Singapore: «L'oro ha perso il suo lustro», ha detto, mentre le nuove forme di investimento privilegiate sono appunto l'arte, e gli appartamenti di lusso nel centro di New York e di Londra. E questo vale per i miliardari, ma anche per quei 170mila nel mondo che vantano un patrimonio superiore a trenta milioni di dollari, che certo hanno qualche spicciolo da investire in un Freud o un Warhol.
Non solo i vip, i nomi noti del mondo dell'arte ma, sempre più, collezionisti misteriosi, che trattano al telefono dalla Russia, dalla Cina, dalla Corea, dall'America Latina. E sono pronti a puntare alto per il loro bottino.
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