Se ad Elly Schlein chiedi perché non è amata dall'entourage del Quirinale hai una risposta che esula dalla domanda. "Oggi è avvenuta una cosa importante - osserva - che cambia le cose. È stata approvata all'unanimità una proposta del Pd sulla violenza sessuale grazie ad un accordo tra me e la Meloni. Solo noi due. Questo è importante".
Sull'antipatia che la leader del Pd riscuote sul Colle non una parola. Silenzio. C'è quasi da chiedersi se alla fine Elly - per usare un'iperbole fattuale - si ritrovi più a parlare con Giorgia che non con Mattarella. Di un incontro tra il capo dello Stato e la Schlein, infatti, non si ha memoria recente e magari non c'è mai stato.
Si può partire da qui per capire cosa c'è dietro le parole di Francesco Garofani, consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, che hanno creato tensione passeggera tra il Quirinale e Palazzo Chigi. Il paradosso è che se prendi quelle frasi e le isoli dal contesto del taglio dato dalla fonte che le ha diffuse ti accorgi che il vero obiettivo non è la Meloni - che è il rischio paventato - ma la Schlein considerata non all'altezza come possibile personaggio su cui il centro-sinistra potrebbe puntare per evitare che la premier possa bissare Palazzo Chigi e poi salire su al Quirinale.
Lo "scossone", il riporre fiducia "nella provvidenza" di Garofani è tutto nella speranza che avvenga qualcosa nel campo largo, nel centro-sinistra, magari la nascita di una lista civica guidata dall'ex-direttore dell'Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini tanto amato al Quirinale, che cambi la narrazione che al momento prevede un epilogo non desiderato.
Ora sicuramente è irrituale che il consigliere di un presidente parli in questo modo che getta ombre sulla sua imparzialità, ma è anche vero che Garofano - al netto di ogni ipocrisia - non cade giù oggi dal pero (come tutto l'entourage di Mattarella) ma ha militato nella stessa corrente democristiana del presidente, nel Ppi, nella margherita, nell'Ulivo e via dicendo. Abbiamo magistrati che hanno un orientamento politico figurarsi che non lo abbia chi è arrivato ad un ruolo istituzionale dopo aver dedicato tutta la vita alla politica. Parole censurabili le sue, ma appunto non ipocrite. Magari sarebbe stata una notizia se Garofano avesse detto voglio la Meloni al Quirinale.
Semmai il dato più politico è che un personaggio del genere non consideri la Schlein un candidato valido nella competizione con la Meloni. E su al Colle non è il solo a pensarlo. Un altro frequentatore del Quirinale come l'ex-segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti, che una volta alla settimana o due pranza con il presidente, ammetteva candidamente in un colloquio diretto con il sottoscritto al caffè da Vittorio a piazza della Minerva (qui non si parla di mail) di "non avere un giudizio positivo della Schlein", di una leader politica che "non percepisce la realtà".
Insomma, cosa si pensa sul Colle si sa (come si sapevano gli orientamenti degli uomini di Scalfaro, Ciampi e Napolitano) ma l'imparzialità delle istituzioni si giudica sugli atti e sulle parole di chi ricopre la carica. Quel che resta di tutta questa storia è l'alta tensione che si è creata tra i due vertici istituzionali del Paese. Perché se a Palazzo Chigi le parole di Garofano hanno suscitato un comprensibile disappunto, chiuso dalla Meloni con le parole "mi dispiace che ci sia stato questo malinteso", a sinistra c'è chi ha visto nell'episodio un'operazione per presentare la Premier come una "vittima". "È come se Palazzo Chigi avesse detto - osserva un membro della segreteria del Pd, Furfaro -: marciateci sopra".
La morale di questa storia è una sola: mentre il ministro della Difesa, Crosetto, presenta una relazione di centinaia di pagine sulla guerra ibrida, basta un granello di sabbia, una dichiarazione a sproposito, una mail per mandare in tilt le nostre istituzioni.