La vera trappola di Report: attaccare Ghiglia per colpire Arianna

La sinistra alla sorella della premier: "Chiarisca cosa gli disse". Ma il voto del commissario era ininfluente

La vera trappola di Report: attaccare Ghiglia per colpire Arianna
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Il filo rosso di Report porta ad Arianna Meloni. È lei il vero obiettivo della campagna di delegittimazione portata avanti dalla trasmissione di Raitre. Dopo i servizi di domenica sera contro il commissario del Garante della Privacy Agostino Ghiglia, probabilmente pedinato fin sotto la sede di Fratelli d'Italia dove sapevano sarebbe andato per incontrare Italo Bocchino e la cui corrispondenza è stata violata - alla faccia della privacy del Garante - nel mirino del giornalismo voyeur che tanto piace a Sigfrido Ranucci non c'è solo l'Autorità che ha sanzionato la Rai con 150mila euro per aver mandato in onda un audio rubato all'allora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (su cui indaga la Procura di Roma), ma soprattutto la sorella del premier.

Sappiamo che Ghiglia l'ha vista - di sfuggita come ammette l'ex parlamentare di An o per più di mezz'ora come sostiene Report (nella foto la puntata di ieri) - ma è strumentale dire che il suo voto è stato decisivo. Perché la sanzione - decisa da un ufficio "tecnico" dopo un'istruttoria tra le parti durata mesi - sarebbe passata comunque anche senza il voto di Ghiglia, visto che in caso di due a due il voto del presidente Pasquale Stanzione vale doppio. Lo stesso Ghiglia aveva chiesto di non mandare in onda i servizi su presunte commistioni tra incarichi, amicizie e verdetti e suggestive ipotesi indimostrate, anche per la diffusione di un messaggio ("Domani andrò da Arianna Meloni") che il commissario avrebbe scritto nella posta interna. "Non sono libero di incontrare chi mi pare?", si chiede Ghiglia. "Un conto è vedere le persone, un altro è fare qualcosa che non va dopo averle viste". Se fosse un comportamento disdicevole non ne avrebbe certamente informato gli uffici, ma Report guarda il dito senza raccontare la Luna, ovvero che il 22 ottobre scorso - lo ha ricostruito il Fatto quotidiano - quando qualcuno per conto di Report (chi? non si sa) lo ha intercettato in via della Scrofa, forse dopo averlo pedinato, la sanzione era già stata decisa anche se non ancora formalizzata. L'incontro era inopportuno ma irrilevante.

Secondo Pd, M5s e Avs invece Garante e Fdi "hanno costruito un'operazione politica telecomandata contro Report", di conseguenza "Ghiglia è un mero esecutore degli ordini di un partito", "non può più stare alla Privacy e deve dimettersi". Il fatto poi che abbia tentato di proteggere la sua privacy "aggiunge solo gravità a un quadro già gravissimo", tuona il leader dei Verdi Angelo Bonelli. "Come fa Arianna Meloni a continuare a stare zitta? Anche oggi parlerà domani? Non sente il dovere di spiegare nel dettaglio cosa ha detto a Ghiglia?", sibilano gli esponenti M5S in Vigilanza Rai, secondo cui la richiesta del commissario sarebbe un "delirio di onnipotenza". "Vogliono sostituirsi finanche all'Ordine dei giornalisti (che ha "perdonato" Ranucci, ndr), ma soprattutto ostacolare il sacrosanto diritto dei cittadini a essere correttamente informati". Eh no.

Sono anni che i vari presidenti dell'Autorità che si sono succeduti come Mauro Paissan, Giuseppe Pizzetti, Antonello Soro e Stefano Rodotà - non certo di simpatie meloniane - vanno predicando tre concetti semplici: "Il giornalista è chiamato a misurare la propria libertà rispetto al dovere di tutelare la dignità delle persone; il giornalista deve agire con correttezza e trasparenza, evitando di utilizzare artifici e pressioni per raccogliere notizie; il sacrosanto dovere di informare va contemperato con il diritto di ogni individuo a non vedersi esposto in momenti di difficoltà". Principi elementari di tutela improponibili per chi preferisce il buco della serratura.

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